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Adeguamento degli statuti: ulteriore proroga per l’utilizzazione della “modalità semplificata”

La legge di conversione del decreto 125 assicura un’ulteriore proroga della scadenza per l’adeguamento degli statuti con modalità semplificata

Con l’approvazione definitiva della conversione del decreto legge sullo stato di emergenza dello scorso 7 ottobre (dl 125/2020), passa l’ulteriore proroga alla scadenza per l’adeguamento degli statuti con maggioranze semplificate per organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale e Onlus, in base alle indicazioni del codice del Terzo Settore (art. 101 c.2).

La scadenza slitta al 31 marzo 2021,annullando la data precedentemente fissata al 31 ottobre 2020. Lo stesso differimento è disposto anche per le imprese sociali. L’intento è quello di allineare sempre di più la scadenza alla data di operatività del registro unico nazionale del Terzo settore, che, con grande probabilità,  avverrà la prossima primavera.

Per tutti gli enti non profit quindi, comprese le Odv, le Aps e le Onlus, rimane comunque la possibilità di adeguare lo statuto alle indicazioni previste dal Codice del Terzo settore, con le maggioranze previste dall’assemblea straordinaria (che prevedono solitamente quorum di partecipazione aggravati rispetto a quella ordinaria).  Ricordiamo che la verifica dell’avvenuto adeguamento statutario avverrà al momento dell’ “immissione” dell’ Ente nel Registro Unico e, qualora gli Enti non abbiano provveduto ad allineare i propri statuti alla normativa , i tempi concessi per provvedere a ciò saranno piuttosto brevi e, comunque, le relative assemblee non potranno più effettuarsi con modalità semplificata.

Due buoni motivi per provvedere, quindi, anche in considerazione che la data di operatività del registro unico, ormai, è piuttosto ravvicinata.

L’organo di controllo per gli Enti del Terzo settore: è il momento della nomina

Una disposizione del codice del terzo settore dispiega i suoi effetti già nell’anno in corso, e interessa le ODV, APS ed ONLUS che abbiano alcuni requisiti dimensionali . Vediamola meglio:

Come tutti sappiamo, l’articolo 30 del codice del terzo settore prevede l’obbligo di dotarsi di un organo di controllo per quegli Enti del Terzo Settore (e, ai sensi del 3° comma dell’art. 101 del codice stesso sono da considerarsi tali – durante il regime transitorio in attesa dell’operatività del Registro Unico quelli iscritti in uno dei registri di settore attualmente esistenti) che raggiungono per due esercizi consecutivi almeno 2 dei seguenti 3 limiti:

– attivo dello stato patrimoniale: 110.000 euro;
– ricavi, rendite, proventi e comunque entrate comunque denominate: 220.000 euro;
– dipendenti occupati (in media) durante l’esercizio: 5 unità

Poiché i due esercizi successivi all’approvazione del codice sono il 2018 ed il 2019, occorre che, all’atto dell’approvazione del bilancio 2019 (che per molti Enti è avvenuto, avvalendosi del posticipo della scadenza permessa dalle disposizioni connesse alla pandemia in corso, nello scorso ottobre) si verifichi se si sono generate le condizioni che rendono obbligatoria la nomina di quell’organo (ovvero i due esercizi consecutivi di “superamento” e, di conseguenza, si provveda alla sua immediata nomina).    

Rammentiamo che l’individuazione dei componenti l’organo di controllo (che può essere anche monocratico) non è “libera” ma deve avvenire facendo in modo che almeno uno di essi appartenga  alle categorie indicate al 2° comma dell’art. 2397 del codice civile .

Stesso discorso (verifica se sussistono le condizioni che rendono obbligatoria la nomina) riguarda il “revisore legale dei conti” che l’art. 31 del codice dispone sia nominato se, anche qui per due esercizi consecutivi, si superano due dei parametri sottoelencati :

– attivo dello stato patrimoniale  : 1.100.000 euro;
– ricavi, rendite, proventi e comunque entrate comunque denominate: 2.200.000 euro;
– dipendenti occupati ( in media ) durante l’esercizio: 12 unità.

Rinviamo, comunque, alla consultazione, in merito, degli articolo 30 e 31 del D.Lvo 117/2017 ( codice del terzo settore).

Volontari… in zona rossa

Nuove disposizioni, particolarmente severe per la nostra Regione, incidono sull’operatività degli Enti del Terzo Settore. Facciamo un primo punto sull’argomento, in attesa di future evoluzioni normative e interpretative. E di un miglioramento della situazione, ovviamente.

Dal 6 novembre al 3 dicembre p.v. sarà in vigore un nuovo DPCM che contiene una serie di disposizioni destinate a limitare la diffusione del contagio da Sars-Cov2.

Fra le misure del decreto, notevole importanza riveste la suddivisione del territorio nazionale in tre diverse aree: zona gialla, arancione e rossa a seconda del grado di rischio, della situazione dei contagi e dello stato delle strutture ospedaliere. Ogni area ha le sue differenti misure restrittive, commisurate – appunto – al “colore” dell’area stessa. La nostra Regione è collocata in “zona rossa” (aree a rischio massimo) e le regole introdotte dal DPCM sono, di conseguenza,  le più restrittive.

Fra esse:

  • il divieto totale di spostamento in entrata e uscita e all’interno del territorio (anche nello stesso comune di residenza) con le sole eccezioni di spostamenti dovuti a comprovate esigenze lavorative, motivi di salute o a situazioni di necessità. La sussistenza di una di queste cause deve essere auto-certificata dall’interessato utilizzando appositi moduliA tale proposito rammentiamo l’importanza della veridicità sia dei dati anagrafici riportati sia della dichiarazione del motivo di lavoro, salute, necessità e urgenza, gli unici che consentono di uscire di casa, indicato
  • la didattica a distanza dalla seconda media (con l’eccezione di attività dedicate a minori con disabilità)
  • la chiusura di ristoranti, bar, pasticcerie, centri estetici e di tutti i negozi in cui non si vendono beni essenziali

Ma esistono anche alcune attività  che sono consentite, quali, ad esempio:

  • l’apertura delle aziende e di alcuni servizi
  • l’apertura delle scuole fino alla 1a media e degli asili
  • la ristorazione con consegna a domicilio e all’aperto fino alle 22
  • l’apertura delle farmacie, tabaccherie, negozi di alimentari, supermercati
  • l’apertura di librerie ed edicole, di parrucchieri e barbieri.

 

Sommandosi a quanto già previsto da precedenti DPCM e DPGR, in particolare dal DPGR 120 del 26.10.2020 che raccomanda:

  • l’uso dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie sempre (finanche in abitazioni private, in presenza di non-conviventi)
  • le riunioni private con modalità a distanza)

l’elemento di divieto che maggiormente incide sull’operatività degli ETS è essenzialmente rappresentato dal divieto di ogni spostamento che – di fatto – genera nelle zone rosse un nuovo lockdown, analogo a quello della scorsa primavera (per quanto “ammorbidito” per taluni aspetti, come abbiamo visto).

E la situazione che si ripropone agli ETS è, ancora una volta, quella di valutare se esistano o meno le condizioni per continuare a svolgere – in tutto o in parte – le loro attività.

Non esistono, anche in questa nuova situazione, disposizioni esplicite che indichino le attività consentite e quelle sospese per gli ETS e quindi occorre – ancora una volta – ricondurre le proprie specifiche attività alle norme comuni e comprenderne, così, la possibilità di  svolgimento.

Se è vero, come è vero, che lo svolgimento delle “riunioni private” (cui si possono ricondurre concettualmente una vasta serie di attività degli ETS che prevedono momenti di incontro – di riunione, appunto – sia fra gli addetti, volontari e non, che con gli utenti) non è almeno al momento espressamente vietata (sia il DPCM del 18 ottobre che la circolare del Ministero degli Interni del 20 ottobre fanno riferimento a una “forte raccomandazione” a tenere tali riunioni da remoto), altrettanto se non più rilevante è la questione della possibilità di effettuare spostamenti di qualsiasi entità.

Abbiamo visto che tali spostamenti, nelle zone rosse,  sono vietati a chicchessia, salvo che ricorrano i motivi richiamati, fra cui  una situazione di necessità. Ed è proprio su questo concetto che occorre soffermarsi, ovvero la valutazione oggettiva dell’esistenza – o meno – di una “situazione di necessità” che richieda lo spostamento.

Rappresenta, indubbiamente, una situazione di necessità l’attività di soccorso e di trasporto sanitario, così come le azioni connesse alla Protezione Civile. E’ altrettanto riconoscibile la “situazione di necessità” per le azioni di supporto alle fasce deboli della popolazione (ad esempio per l’assistenza a persone anziane o impossibilitate a provvede ai bisogni quotidiani). Anche l’assistenza agli animali (ad esempio ospitati in un canile gestito dall’associazione) può costituire una condizione di necessità per gli spostamenti.

Una  precauzione significativa, comunque, è quella di attestare la “comprovata” esigenza mediante il coordinamento e l’accordo con l’ente pubblico di riferimento.

Raccomandazione generale, tuttavia, è quella di non “largheggiare” troppo nell’individuazione dello stato di necessità (anzi, di farne una valutazione molto prudente) e di adottare, sempre, tutte le misure generali di protezione e di prevenzione.

Infine, qualora gli spostamenti dei volontari / operatori siano ritenuti necessari , occorre che costoro portino con sé, durante gli spostamenti stessi:

  • autocertificazione in cui sia barrata l’opzione: situazione di necessità
  • dichiarazione (su carta intestata) del Legale rappresentante dell’organizzazione di appartenenza recante:
    • nome e natura dell’associazione; settore di attività; iscrizione in eventuali registri pubblici
    • servizio svolto (*)
    • nome del volontario
    • territorio di riferimento per lo svolgimento dell’attività

(*) ad esempio: “esecuzione di intervento di assistenza in favore di persone in grave stato di necessità”

Qualora il movimento dei volontari preveda il trasporto sullo stesso automezzo di più persone, dovranno ovviamente applicarsi le disposizioni di isolamento e protezione prescritte (distanziamento, uso dispositivi di protezione etc).

 

E, in conclusione, una nota di speranza.

La “colorazione” delle zone è sottoposta a una revisione quattordicinale. L’auspicio di tutti noi piemontesi è che le misure di ulteriore restrizione a cui dal 6 novembre saremo assoggettati producano rapidamente i loro effetti e, già alla prima “revisione”, ci sia consentito di riclassificarci in altra zona, con restrizioni meno serrate che consentano, oltre a migliori e più sicure condizioni di vita, anche lo svolgimento più agevole e incisivo delle attività degli Enti del Terzo settore.

 

Il 31 ottobre è il termine ultimo per procedere all’adeguamento degli statuti di ODV, APS e Onlus? O no?

Qualche equivoco da chiarire e qualche ansia da spegnere in merito all’adeguamento statutario previsto dall’art. 101 del Codice del Terzo Settore

 

Molte associazioni si rivolgono al nostro Centro Servizi per il Volontariato per avere informazioni circa le conseguenze del mancato rispetto del termine del 31 ottobre per procedere all’adeguamento dei loro statuti.

Innanzitutto ribadiamo che a essere interessate da questa disposizione sono unicamente le Organizzazioni di Volontariato e le Associazioni di Promozione Sociale già iscritte nei rispettivi Registri Regionali, e le Onlus iscritte nell’elenco tenuto dall’Agenzia delle Entrate (pubblicato sul sito www.agenziaentrate.gov.it).

Tale termine, dopo svariati “slittamenti” (la scadenza originaria era di 24 mesi dalla entrata in vigore del Codice del Terzo Settore, quindi a luglio 2019), è stato ulteriormente prorogato al 31 ottobre 2020 da una disposizione contenuta nel Decreto “Cura Italia” emanato per l’emergenza Covid-19.

La nuova scadenza così determinata riguarda, però, non già il termine ultimo entro cui si può procedere all’adeguamento degli statuti, bensì il termine in cui esso può avvenire utilizzando la c.d. modalità semplificata, ovvero “…modificare i propri statuti con le modalità e le maggioranze previste per le deliberazioni dell’assemblea ordinaria al fine di adeguarli alle nuove disposizioni inderogabili o di introdurre clausole che escludono l’applicazione di nuove disposizioni derogabili mediante specifica clausola statutaria”.

La considerazione che ne deriva è questa: per chi volesse provvedere all’adeguamento statutario successivamente (cosa assolutamente possibile) i quorum da rispettare saranno quelli rafforzati tipici delle deliberazioni straordinarie.

Quindi, per riassumere, le condizioni da rispettare (contemporaneamente) per poter utilizzare la modalità semplificata sono due:

Qualunque altra previsione statutaria ex-novo (ad esempio per introdurre la possibilità di esercizio di attività diverse oppure per consentire lo svolgimento delle assemblee in modalità telematica, o ancora per variare la denominazione dell’Ente o regole del suo funzionamento…) o che si realizzi dopo la data-limite del 31 ottobre – configurando una modifica statutaria vera e propria e non un semplice adeguamento – dovrà avvenire con assemblea straordinaria che rispetti modalità e maggioranze definite per tale tipologia d’assemblea.

Usualmente, gli statuti di OdV, APS e Onlus prevedono per le assemblee ordinarie meccanismi (ad esempio attraverso la doppia convocazione) che consentono di assumere deliberazioni qualunque sia il numero dei presenti, mentre per le assemblee straordinarie il quorum di validità riprende le disposizioni dell’art. 21 del Codice Civile, che recita: “per modificare l’atto costitutivo e lo statuto, se in essi non è altrimenti disposto, occorrono la presenza di almeno tre quarti degli associati e il voto favorevole della maggioranza dei presenti”.

Problema non da poco, soprattutto per le organizzazioni che abbiano un grande numero di aderenti, che – per modificare o anche solo per adeguare dopo il 31 ottobre il proprio statuto – dovranno rispettare il quorum di soci presenti o rappresentati in percentuale molto elevata rispetto all’intera compagine associativa.

Ma, seppure con questa ulteriore difficoltà, ogni intervento di modifica statutaria – lo ripetiamo – sarà ancora perfettamente legittimo anche se avverrà in data successiva al 31 ottobre prossimo.

Siamo una Onlus: che ne sarà di noi?

Buongiorno, siamo una Onlus: che ne sarà di noi? È una delle domande che, con frequenza sempre maggiore, viene rivolta allo “Sportello consulenze” del Centro Servizi per il Volontariato Vol.To. Le numerose Onlus che popolano il mondo del non-profit (secondo l’anagrafe tenuta dall’Agenzia delle Entrate, aggiornata ad agosto 2020, in Piemonte sono 2.189, di cui 1.302 nella Città Metropolitana di Torino) stanno rendendosi conto che, al momento dell’attuazione completa della Riforma del Terzo Settore, per loro ci saranno grandi mutamenti. E scelte importanti e complesse da adottare, cui prepararsi sin d’ora.

 

Due articoli del Codice del Terzo Settore, agendo in modo combinato, determinano la “scomparsa” delle Onlus e la data di tale “scomparsa”:

  • L’art. 102/c2, infatti, interviene abrogando la disciplina delle Onlus (cioè abrogando la parte del D.Lgs 460/1997 “riordino degli Enti non commerciali”), indicando la decorrenza di tale abrogazione secondo le disposizioni del successivo art. 104/c2.
  • Questo secondo articolo la fissa nel “periodo d’imposta successivo al ricevimento dell’autorizzazione da parte della Commissione Europea (cui è subordinata l’attuazione di gran parte delle disposizioni fiscali del Codice del Terzo Settore) e comunque non prima del periodo d’imposta successivo all’operatività del RUNTS”.

In soldoni: a Registro Unico del Terzo Settore attivato e ad autorizzazione europea pervenuta, parte una sorta di “conto alla rovescia” che, all’inizio del periodo d’imposta successivo (che per la gran parte delle organizzazioni in cui esso coincide con l’anno solare è il 1° gennaio seguente) porterà alla cessazione della qualificazione di Onlus e alla dis-applicazione della relativa disciplina fiscale. Questo vorrebbe dire, perciò, che nel caso i due “avvenimenti” (cioè l’attivazione del registro e l’autorizzazione europea) arrivassero nel 2021, il 1° gennaio 2022 rappresenterebbe la “dead-line” per l’esistenza di moltissime Onlus.

E da qui il dubbio espresso nel nostro titolo: che ne sarà di loro?

Un enorme “buco nero” inghiottirà Volontari, operatori, risorse e patrimoni? NO.

Le Onlus avranno tre opzioni fra cui scegliere:

  • trasformarsi in una delle tipologie di ETS previste al 1° comma dell’art. 4 del D.Lvo 117/2017, essendo in possesso delle caratteristiche indicate dal comma stesso e iscriversi in una delle sezioni del RUNTS, continuando quindi a operare come ETS. L’art.101 c8 del Codice certifica che la perdita della qualifica di Onlus in questa occasione non integra l’ipotesi di scioglimento dell’Ente;
  • sciogliersi, cessando ogni attività e conseguentemente destinando il patrimonio residuo (che, ricordiamolo, non può essere mai suddiviso fra gli aderenti a un’organizzazione non-profit) secondo le disposizioni statutarie (che certo prevederà l’obbligo di devoluzione ad altra Onlus o a fini di pubblica utilità, sentito l’organismo di controllo previsto da una Legge del 1996);
  • perdere la qualifica di Onlus (che, come abbiamo visto, spariscono) ma continuare a operare senza “trasformarsi” in ETS, come Ente non-profit. A questo punto, però, occorre considerare che la circolare ministeriale 168/E del 26 giugno 1998 stabilisce che la perdita della qualifica di Onlus equivale, ai fini della destinazione del patrimonio, allo scioglimento dell’Ente. Un’altra circolare dell’Agenzia delle Entrate (59/E del 31 ottobre 2007) afferma: “nell’ipotesi che l’Ente, pur perdendo la qualifica di Onlus, non intenda sciogliersi, ma voglia continuare a operare come Ente privo della medesima qualifica, lo stesso è tenuto a devolvere il patrimonio secondo i criteri indicati dall’art. 10 c1 del D.Lvo 460/97, limitatamente all’incremento patrimoniale realizzato nei periodi di imposte in cui l’Ente aveva fruito della qualifica di Onlus“. Un  meccanismo di calcolo un po’ complesso, indubbiamente, ma ineluttabile.

Ecco perché, di fronte a queste (tre) possibili prospettive occorre che le attuali Onlus effettuino con una certa rapidità le loro scelte. È probabile che ormai manchi poco più di un anno al momento cruciale in cui prenderà il via il “periodo d’imposta successivo etc” richiamato dall’art. 102 del Codice del Terzo Settore, di cui abbiamo trattato in apertura.

Ecco perché alla domanda iniziale “che ne sarà di noi ?” non si può che rispondere: “dipende da Voi”. Dalle scelte che farete. Ma cominciate (o continuate) a riflettere su queste scelte e sulle loro conseguenze. Il tempo non è più molto.

Il vademecum per prendersi cura di poveri e migranti

Il Ministero della Salute ha commissionato all’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per il contrasto delle malattie della Povertà (INMP) una guida delle procedure da adottare da parte di coloro che – a vario titolo – si prendono cura di gruppi di persone ad elevata fragilità e marginalità sociale e sanitaria, ai tempi di Covid-19.

 

Un “vademecum” che definisca procedure chiare, facilmente applicabili e coerenti con le norme introdotte durante l’emergenza da Covid-19 per coloro che si prendono cura di soggetti particolarmente fragili, in ambienti e situazioni che spesso non sono raggiunti dai servizi pubblici, è stato messo a disposizione dal Ministero della Salute, dopo validazione da parte del Comitato tecnico-scientifico.

È una linea-guida pratica, precisa e fondata su evidenze e buone prassi, che fornisce informazioni per la prevenzione dell’infezione e del contagio e consente di attuare una valutazione del rischio attribuibile ai diversi contesti in cui queste persone fragili vivono.

Particolare attenzione viene posta a due categorie di persone fragili: i migranti (inseriti o meno nel sistema di accoglienza italiano) e i senza fissa dimora. Due categorie cui si rivolge, in numerose occasioni, l’azione di assistenza e di sostegno di molti Enti del Terzo Settore.

Troverete, in calce, il collegamento alla versione integrale del vademecum elaborato dall’INMP, cui hanno collaborato – fra gli altri – l’ANCI, l’Istituto Superiore di Sanità, il Ministero dell’ Interno e il Dipartimento della Protezione Civile.

http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2942_allegato.pdf

Riunirsi, ma come? A distanza o in presenza?

Riunione a distanza oppure in presenza? Vediamo le modalità (e gli accorgimenti) con cui possono tenersi le riunioni negli ETS

 

Le attività degli Enti del Terzo Settore implicano, spesso, la necessità di tenere delle riunioni o degli incontri fra gli appartenenti all’Ente o con i destinatari delle sue attività.

Superata la fase del lockdown, quando ogni forma di incontro fra persone è stato inibito per evitare il rischio di contagi reciproci e durante il quale le organizzazioni hanno – necessariamente – dovuto optare per tenere le loro riunioni utilizzando modalità a distanza, la situazione di progressivo allentamento dei divieti consente alle organizzazioni stesse di scegliere quale modalità sia la migliore per tenere le proprie riunioni, senza ignorare tuttavia regole e precauzioni che, per entrambe le modalità, devono essere  adottate.

Cominciamo ad esaminare l’ipotesi delle riunioni tenute a distanza.

Il Decreto Legge 18/2020 (“Cura Italia”) ha previsto la possibilità dello svolgimento di riunioni (anche degli organi sociali) in videoconferenza, tramite strumenti quali ad esempio skype, hangout o zoom, anche qualora tale modalità non fosse espressamente prevista negli Statuti e nei regolamenti delle organizzazioni (art. 73 c. 4).

Tale possibilità è ammessa fino al termine della durata dello stato di emergenza dichiarato dal Governo, cioè fino al 31 luglio 2020 (salvo ulteriori proroghe).

Dalla previsione di legge erano rimasti inizialmente fuori gli Enti non lucrativi diversi da Associazioni e Fondazioni, quali ad esempio i comitati o gli Enti ecclesiastici e confessionali civilisticamente riconosciuti, poi ricompresi nella previsione con la legge di conversione del decreto.

Se un’Associazione o una Fondazione vuole riunire i propri organi sociali a distanza lo potrà quindi fare, sempre però “nel rispetto di criteri di trasparenza e tracciabilità previamente fissati” (ad esempio mettendo a disposizione in anticipo i materiali oggetto di discussione), che consentano al Presidente dell’organo di accertare la regolarità della costituzione della riunione, identificando quindi in modo certo i partecipanti, di regolare lo svolgimento dell’adunanza e di constatare i risultati delle votazioni.

Fondamentale è il rispetto del principio di simultaneità per il quale, a pena di invalidità della riunione, ogni partecipante deve poter seguire in modo adeguato la discussione, oltre a poter intervenire in tempo reale nella trattazione degli argomenti e nella votazione.

Altro discorso, invece, riguarda la ripresa delle riunioni “in presenza” .

Lo scorso 1° giugno, anche sulla base di alcune richieste specifiche, è stata pubblicata sul sito del Governo la seguente risposta a una FAQ, relativa alle modalità di svolgimento delle assemblee/riunioni in presenza fisica in Associazioni e Società.

  • FAQ: “Possono svolgersi assemblee (ordinarie o straordinarie) condominiali, di società di capitali o di persone ovvero di altre organizzazioni collettive?”
  • RISPOSTA: “Le assemblee di qualunque tipo (condominiali ovvero di ogni altra forma di organizzazione collettiva) possono svolgersi “in presenza fisica dei soggetti convocati” a condizione che siano organizzate in locali o spazi adeguati, eventualmente anche all’aperto, che assicurino il mantenimento continuativo della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro fra tutti i partecipanti, evitando dunque ogni forma di assembramento, nel rispetto delle norme sanitarie nel contenimento della diffusione del contagio da covid-19. Resta ferma la possibilità delle stesse riunioni in remoto, in quanto compatibile con le vigenti disposizioni…”

Sono perciò da ritenersi consentite le riunioni e le assemblee in presenza fisica nei luoghi privati.

La stessa cosa non vale per i luoghi pubblici o aperti al pubblico.

Ma qual è il limite massimo di persone che può partecipare ad una di queste “riunioni”?

Seri dubbi sorgono sulla possibilità di tenere riunioni e adunanze – anche in luoghi privati –  quando sia prevista la presenza di oltre 200 persone (se al chiuso) o di 1000 persone (se all’aperto).

Fondamentale, tuttavia, che le riunioni in presenza si svolgano nel rispetto di tutte le prescrizioni necessarie a prevenire la possibile diffusione di contagi. Rammentiamo, perciò:

  • divieto di accesso a soggetti con sintomi respiratori o temperatura > 37.5
  • rigorosa attenzione all’igiene delle mani, attraverso la disponibilità generalizzata di “dispenser” con soluzioni disinfettanti
  • rispetto della distanza di sicurezza di almeno un metro (davanti, alle spalle, ai lati) per cui è necessaria una superficie minima di circa 2 mq per ogni persona partecipante (dato di cui tenere conto per correlare il numero dei partecipanti alla superficie del locale)
  • presenza di un numero sufficiente di sedie, così da assicurare la distanza di sicurezza e la presenza “statica” all’evento
  • garanzia del distanziamento in tutti i momenti della riunione (incluse le fasi di ingresso e uscita dal locale)
  • utilizzo di mascherine, anche all’aperto
  • igiene frequente e rigorosa degli ambienti
  • istruzioni per l’uso dei servizi igienici
  • adeguata ventilazione naturale (o, in presenza di sistemi di condizionamento nei luoghi chiusi, il rispetto delle raccomandazioni per il loro uso)
  • differenziazione tra le vie di entrata e uscita dal/dai locale/i
  • evitare di diffondere documenti o altro materiale cartaceo
  • divieto di consumo di cibi o bevande
  • modalità d’intervento che – preferibilmente – escludano l’uso di microfoni

Buona norma, inoltre, è rappresentata dalla comunicazione preventiva ai convocati/partecipanti delle modalità di svolgimento e delle misure di sicurezza adottate, meglio – qualora sia prevista – allegandole alla convocazione.

Leggi tutti gli approfondimenti sulla normativa di Enrico Bussolino

La Riforma del Terzo Settore: a che punto siamo?

Martedì 7 luglio, con una diretta web sulla pagina Facebook di Vol.To, abbiamo fatto il punto sullo “stato dell’arte” dell’attivazione della Riforma del Terzo Settore (trovate il video in fondo a questo articolo). Torniamo sull’argomento per mettere in rilievo gli elementi più significativi della riforma, i provvedimenti già assunti, quelli ancora mancanti e le criticità che queste mancanze determinano.

 

La Riforma del Terzo Settore, come noto, è un processo di riordino normativo che interessa alcune centinaia di migliaia di Enti non-profit del nostro Paese.

Dal 2013 (quando ne fu annunciata l’intenzione dall’allora Presidente del Consiglio) a oggi enormi passi sono stati compiuti per concretizzare tale riordino, anche se è inutile nascondere che tanti, ulteriori passaggi sono ancora necessari e che alcune di queste mancanze mantengono inapplicate disposizioni di grande rilievo e di indubbio interesse.

La Legge di Riforma (L. 106/2016) che concludeva un iter parlamentare articolato ma piuttosto tranquillo, assegnava al Governo (era una c.d. legge-delega) il compito di emanare – entro 12 mesi – una serie di Decreti Legislativi per normare aspetti specifici.

Tali decreti vennero emanati “nei tempi” e, a fine 2017, si disponeva di cinque decreti legislativi in materia di:

  • Cinque per mille
  • Servizio Civile Universale
  • Fondazione Italia Sociale
  • Impresa sociale
  • Codice del Terzo Settore

Quest’ultimo, in particolare (D. Lgs 117/2017) costituiva – non solo ai fini di questa nostra riflessione – il provvedimento-chiave per definire una disciplina organica comune per tutti gli Enti del Terzo Settore e per indicare le norme “speciali” destinate ad alcune categorie di essi.

Il Codice introduce alcuni concetti e alcune disposizioni davvero rilevanti – e in più casi anche innovativi – fra cui richiamo:

  • introduzione della definizione di “Ente del Terzo Settore” (Art. 4) che, in varie tipologie organizzative (Organizzazione di Volontariato, Associazione di Promozione Sociale, Ente filantropico etc.)  deve essere un Ente privato, costituito per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, svolgendo una o più attività di interesse generale e iscrivendosi in un apposito Registro Unico Nazionale degli Enti del Terzo Settore;
  • possibilità di acquisire la personalità giuridica con modalità semplificata (Art. 22);
  • ampliamento a sei settori di attività d’interesse generale (Art. 5) in cui gli Enti di Terzo Settore possono (devono) operare;
  • istituzione e regolamentazione (Artt. 45 e seguenti) del nuovo Registro Unico Nazionale (RUNTS);
  • nascita di un fondo per sostenere i progetti e le iniziative degli Enti del Terzo Settore di tipo associativo (Art. 72);
  • riforma del regime fiscale degli Enti del Terzo Settore (Artt. 79 e seguenti);
  • introduzione di forme di finanza sociale (Artt. 77 e seguenti) a beneficio delle attività degli Enti del Terzo Settore;
  • aumento delle detrazioni / deduzioni applicabili per le erogazioni liberali destinate agli Enti del Terzo Settore (Art. 83);
  • disposizioni in materia di imposte indirette e tributi locali (Art. 82),

L’attuazione pratica di molte delle norme contenute nei Decreti Legislativi di cui abbiamo parlato richiede, tuttavia, ulteriori disposizioni (Decreti Ministeriali) la cui adozione è essenziale perché tali norme possano essere utilizzate nel concreto.

La produzione di questi Decreti è tuttora in corso e la tabella sottostante ne riepiloga la situazione (fonte: Cantiere Terzo Settore, aggiornamento fine aprile 2020)

D.Lgs. 40/2017 – Servizio Civile Universale

Decreti previsti 4
In corso di elaborazione 1
adottati 0

D.Lgs. 111/2017 – 5 x 1000

Decreti previsti 1
In corso di elaborazione 1
adottati 0

D.Lgs. 112/2017 – Impresa sociale

Decreti previsti 12
In corso di elaborazione 1
adottati 3

D.Lgs. 117/2017 Codice Terzo Settore

Decreti previsti 24
In corso di elaborazione 4
adottati 11

Fra questi ultimi Decreti Ministeriali già emanati, ne ricordo alcuni particolarmente significativi:

  • Decreto correttivo 105/2018
  • Attuazione dell’art. 14 CTS  (linee-guida per il bilancio sociale)
  • Attuazione dell’art. 14 CTS  (linee-guida per la valutazione dell’impatto sociale)
  • Attuazione art. 13 CTS (adozione moduli per la rendicontazione degli ETS)
  • Attuazione art. 83 CTS (individuazione criteri per erogazioni liberali in natura agli ETS)
  • Costituzione dell’ ONC (Organo Nazionale di Controllo dei Centri di Servizio)

Accanto a questi Decreti, inoltre, sono stati adottati provvedimenti importanti (note ministeriali, orientamenti interpretativi etc) da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (circa 20 dal dicembre 2017 al maggio 2020) che trattano vari argomenti, fra cui segnalo:

  • trasformazione di una OdV in APS in regime transitorio
  • esenzione imposta di registro per ETS
  • contributi 5 x 1000
  • composizione della base associativa degli ETS

Anche l’Agenzia delle Entrate è intervenuta con propri provvedimenti d’interpretazione di aspetti fiscali, fra cui hanno particolare rilievo alcune circolari (9/E e 18/E) e risoluzioni (89/E).

In ultimo, ricordo altri provvedimenti collaterali che – pur non essendo direttamente richiamati dalla normativa – possono incidere su interpretazioni e orientamenti rispetto ad aspetti particolari, quali per esempio la recente sentenza (131/2020) della Corte Costituzionale che  interviene – legittimandone la piena applicazione – sull’interpretazione degli Artt. 55 e 56 del CTS (rapporti fra ETS ed Enti pubblici) dapprima fortemente limitata da un parere del Consiglio di Stato del 2018.

Ma veniamo ora alle dolenti note, ovvero a cosa manca ancora e qual è la conseguenza di tali mancanze.

Al di la dei numeri (la tabella precedentemente riportata da un’idea abbastanza precisa della consistenza numerica dei provvedimenti ancora attesi) esistono alcuni provvedimenti strategici la cui assenza blocca aspetti rilevanti e significativi della Riforma.

Ricordo i tre più importanti:

  • il Decreto Interministeriale (Ministero del Lavoro + Ministero delle Finanze) richiamato dall’Art. 6 del CTS riguardante criteri e limiti per l’esercizio di attività diverse;
  • il Decreto Ministeriale richiamato dall’Art. 7 dello stesso Codice relativo alle linee-guida per l’attuazione delle raccolte-fondi per finanziare le proprie attività;
  • il Decreto del MLPS per definire le procedure per l’operatività del RUNTS (richiesto dall’Art. 53 del Codice).

Di tutti e tre i Decreti sono già disponibili delle bozze di lavoro in varia fase di concertazione con altri attori previsti.

In particolare, il primo Decreto è già stato approvato dalla “cabina di regia” prevista dall’Art. 97 del codice stesso e se ne attende (da svariati mesi…) la pubblicazione. Il terzo (quello che, di fatto, detta le regole per la costituzione degli uffici territoriali del RUNTS e perciò ne determina la reale operatività) è all’esame della Conferenza Stato-Regioni che ha mosso alcuni rilievi sulle procedure indicate, escludendo – implicitamente – l’attivazione operativa del RUNTS nell’anno in corso (l’ipotesi più accreditata è che esso possa essere attivato – magari parzialmente – nel primo semestre del 2021).

Le conseguenze di tutto ciò le analizzeremo in un successivo contributo, in cui proveremo a studiare lo scenario cui gli ETS devono, al momento, riferirsi, alle sue  prospettive di evoluzione; tenteremo anche a dare loro dei connotati temporali.

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Alcune misure di favore messe a disposizione dal decreto 34/2020

Il c.d. “decreto rilancio” ( D. 34/2020 ) e gli emendamenti approvati per la sua conversione in legge hanno introdotto alcune norme di favore destinate agli Enti del terzo settore. Esaminiamo nel dettaglio alcune di esse, aiutandoci con 3 “clip” esplicative del ns. consulente dr. Paolo Rota, Commercialista in Torino.

Una “clip” illustrativa del provvedimento sulla “tax – credit” concessa per le spese di adeguamento dei locali in cui si svolge l’attività degli Enti del terzo settore , una seconda sui benefici concessi per gli oneri di sanificazione ed acquisto di dispositivi per la sicurezza di dipendenti, volontari d utenti ed una terza sul credito d’imposta per interventi di ristrutturazione e risparmio energetico sono i tre contributi che – in modo essenziale ma esauriente – abbiamo richiesto al nostro consulente per ricapitolare i più importanti provvedimenti contenuti nel c.d. “decreto rilancio” (successivamente  meglio specificati dalle successive circolari applicative dell’Agenzia delle Entrate ) che interessano (anche) gli Enti del Terzo Settore.

Tax credit adeguamento locali

Tax credit sanificazione

Credito di imposta per le spese di ristrutturazione e miglioramento energetico

A questi argomenti si aggiunge anche un’ulteriore “clip” già pubblicata in questa rubrica in un precedente “ago” col titolo di “Tax credit anche per gli Enti non commerciali” che tratta del credito d’imposta sugli affitti pagati dagli Enti del Terzo settore per i mesi di marzo, aprile e maggio, che Vi invitiamo a consultare per completezza d’informazione.

TAX – CREDIT anche per gli Enti non commerciali

Il decreto “rilancio” (34/2020) prevede l’estensione anche agli Enti non commerciali del credito d’imposta per una quota dei canoni di locazione (affitti) sostenuti nei mesi di marzo / aprile / maggio. 

Vediamo meglio di cosa si tratta, in un intervento-video del nostro consulente dott. Paolo Rota, membro del gruppo di studio sul non-profit dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Torino.

 

Fra le disposizioni del c.d. “decreto rilancio” è anche presente (art. 24) la possibilità per gli Enti non-profit di ottenere un credito d’imposta pari al 60 % degli importi pagati per canoni di locazione immobiliare nei mesi di marzo, aprile e maggio.

Abbiamo chiesto al nostro consulente in materia di illustrarci questa disposizione che, sebbene con alcune difficoltà ”tecniche” può rappresentare un aiuto concreto per ristorare, almeno in parte, i costi sostenuti dalle organizzazioni di volontariato (e, più in generale, dagli Enti non commerciali) nel periodo di  “lock-down” .

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