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Le “donazioni in natura”: un’opportunità da non trascurare

Inutile ripeterlo: ricevere una “donazione” per un Ente del Terzo settore è sempre un piacere. L’apprezzamento per l’attività svolta, per l’impegno profuso (particolarmente da parte di persone che non traggono nessun beneficio economico per la loro opera), per il contributo al miglioramento della Società si manifesta tangibilmente attraverso questo gesto di sostegno e di fiducia.

Ma se la “donazione” non consiste in una somma di danaro o qualcosa di simile ma in un bene “materiale” che succede? Vediamolo insieme.

Il “codice del terzo settore” prevede, all’ art. 83, una serie di benefici fiscali per quei contribuenti (persone fisiche, imprese, enti) che sostengano il terzo settore attraverso “erogazioni liberali” a questi destinate.

Tali erogazioni possono avvenire – oltre che in denaro anche “in natura”, con assoluta eguaglianza di benefici fiscali per il donatore.

Ciò sta a significare che per il donatore è assolutamente indifferente erogare il proprio “sostegno” donando denaro o beni e ottenendo una detrazione dalla propria imposta o una deduzione dal proprio reddito, sulla base della somma erogata o sul valore del/i beni donati e tenuto conto della tipologia di Ente destinatario (vedi tabella in calce).

Ma la disposizione del codice (in vigore dal 1° gennaio 2018) proprio in merito alle donazioni “in natura” rinviava ad un successivo atto normativo che ne avrebbe fissato le modalità ammesse. Perciò: “tutti fermi” ad attendere questo decreto che – di fatto – avrebbe “sbloccato” una importante forma di sostegno al terzo settore.

Il 28 novembre 2019, finalmente, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha emanato l’atteso decreto (pubblicato in G.U. il 30 gennaio 2020) “spianando la strada” all’applicazione delle previsioni dell’art. 83 del Codice in materia.

Intanto si è definito che la norma è applicabile per le erogazioni in natura a tutti gli ETS, comprese le cooperative sociali, ma non alle imprese sociali costituite in forma di società (in attesa dell’istituzione del Registro degli Enti del terzo Settore l’applicazione è limitata ad OdV, APS, Onlus iscritte negli appositi registri ). Ovviamente è ribadito il vincolo ( già desumibile dall’ art. 8 del Codice ma….repetita juvant) che le donazioni ricevute siano utilizzate per le attività statutarie destinate al perseguimento di finalità civiche, solidaristiche, di utilità sociale .

Se la determinazione dell’entità del beneficio fiscale per le erogazioni in denaro è piuttosto semplice, un po’ più complicato, però, è determinare quanto “valga” una donazione in natura.

Il decreto stabilisce, in proposito, che occorre considerare il valore “normale” (la relativa definizione può rinvenirsi all’ art. 9 del TUIR) e, nel caso di beni strumentali, al residuo valore fiscale (all’ atto del trasferimento) e, nel caso dei beni indicati nell’ art. 85 del TUIR c.1, ( es. materie prime etc.) al valore minore fra quello normale e quello attribuito alle rimanenze.

Altro aspetto è costituito da “chi definisce tale valore”? Ovviamente è un’incombenza in capo al donatore (che utilizzerà i criteri sopra esposti) ma, qualora la donazione sia di valore superiore ai 30.000 € (o non se ne possa definire il valore con criteri oggettivi) sarà necessario procurarsi una perizia giurata realizzata non più di 90 giorni prima della donazione) che attesti il valore.

E, per finire, ricordiamo la documentazione che deve necessariamente accompagnare la donazione : il donatore deve redigere un documento che elenchi analiticamente i beni donati, indicandone il relativo valore (quando si superano i 30.000 €, ricordiamolo, occorre corredarla da una perizia giurata ); l’ Ente beneficiario deve redigere, invece, una dichiarazione di accettazione della donazione con l’impegno della sua diretta utilizzazione per il raggiungimento delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità Sociale dell’ Ente.

Il decreto sulle “attività diverse” (finalmente) pubblicato in G.U.

Lo aspettavamo da tempo. Firmato lo scorso maggio dal Ministro del Lavoro, dopo un’ulteriore attesa è stato pubblicato il 26 luglio in Gazzetta Ufficiale il decreto (D.M. 107 del 19 maggio 2021) che stabilisce criteri e limiti per l’esercizio delle “attività diverse” da parte degli Enti del Terzo Settore.

Il decreto, le cui previsioni saranno applicabili (come gran parte di quelle che riguardano i “nuovi” regimi fiscali e contabili degli ETS) dal “primo esercizio successivo a quello di operatività del RUNTS e di ricevimento dell’approvazione da parte dell’Unione Europea” definisce quanto richiesto dall’ articolo 6 del D.Lvo 117/2017 ( codice del terzo settore ) in merito, appunto, alle “attività diverse” .

Il codice, infatti, prescrive che un Ente del Terzo Settore svolga, in via esclusiva o prevalente una o più fra le attività di interesse generale previste all’ articolo 5 del codice stesso. Accanto a queste, tuttavia, possono essere svolte anche c.d. “attività diverse” se:

lo statuto lo prevede

– esse siano “secondarie e strumentali” rispetto a quelle di interesse generale.

Oltre alla previsione statutaria (che non deve spingersi ad elencare dettagliatamente quali siano le attività previste, ma soltanto prevederne in via generica il possibile svolgimento) occorre una successiva individuazione puntuale che può avvenire da parte dell’organo che lo statuto stesso indica come deputato a tale competenza (generalmente: l’organo di amministrazione).

Il rispetto dei criteri di “secondarietà e strumentalità” (che deve essere certificato da parte dell’organo di amministrazione nella relazione di missione – per gli Enti che redigono il bilancio composto da : stato patrimoniale / rendiconto di gestione / relazione di missione – oppure con apposita nota in calce al rendiconto per cassa – per gli Enti che adottano tale modalità “semplificata” di rendicontazione) richiede, però la definizione di cosa si intenda con tali espressioni, così come richiesto dall’art. 6 del Codice.

Sull’ argomento si pronuncia, appunto, il decreto 107/2021 che non definisce le attività diverse rispetto alla loro natura ma che – indipendentemente dal loro oggetto – le considera “strumentali” se sono esercitate dall’ Ente per la realizzazione (il sostegno) delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale da perseguire con la/le attività di interesse generale svolte.

Sul piano della secondarietà, invece, viene introdotto un parametro quantitativo.

Sono “secondarie” quelle attività che rispettano, nell’esercizio, almeno un parametro fra:

i relativi ricavi non sono superiori al 30% delle entrate complessive dell’Ente

i relativi ricavi non sono superiori al 66% dei costi complessivi dell’Ente.

Fra questi costi possono venire computati, anche:

– i costi figurativi connessi all’ impegno dei volontari non occasionali

– le erogazioni gratuite (beni o servizi) per il loro valore nominale

– la differenza fra il valore normale di beni o servizi acquistati per l’attività statutaria dell’Ente ed il costo effettivo di acquisto.

Resta ancora da indagare cosa avvenga in caso di mancato rispetto dei criteri per lo svolgimento di attività diverse.

Il Decreto Ministeriale prevede, in merito, per l’Ente che non abbia rispettato (almeno uno dei) criteri di “secondarietà” sopra riportati di darne segnalazione entro trenta giorni dall’ approvazione del bilancio all’ ufficio territoriale del RUNTS . Nell’ esercizio immediatamente successivo l’Ente stesso è obbligato a rientrare dello “sforamento” effettuato. Se questo rientro non avviene nell’ esercizio successivo, il RUNTS provvederà alla cancellazione dal Registro dell’Ente stesso, con le conseguenze collegate.

Allegato: il testo del D.M.- 107/2021 pubblicato in G.U.

https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2021/07/26/21G00115/sg

La vidimazione del registro dei volontari: è obbligatoria?

Spesso ricorre, nell’interlocuzione con le organizzazioni che si rivolgono al nostro centro, una domanda relativa all’ obbligo di far vidimare il “registro dei volontari” dell’Ente. Comprendiamo meglio quali siano le disposizioni in materia.

Lo scorso 28 maggio il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali è intervenuto con una nota (la nota 7180) su una questione spesso dibattuta e su cui era, più che mai, necessario un pronunciamento da parte del Ministero. Di seguito, il rimando alla nota citata:

https://www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/normative/Documents/2021/Nota-7180-del-28052021-Vidimazione-registro-dei-Volontari.pdf

La nota chiarisce che il Codice del Terzo Settore ha espressamente previsto, per tutti gli enti del Terzo settore che si avvalgono di volontari non occasionali, l’obbligo di iscriverli in un apposito registro.

Un decreto del Ministro dell’industria, commercio e artigianato (ora Ministro dello sviluppo economico) del 14 febbraio 1992, come modificato dal successivo decreto del 16 novembre 1992, attuativo dell’articolo 4 della legge quadro sul volontariato n. 266/1991, e del relativo obbligo assicurativo, prevede l’istituzione di un registro dei volontari con le relative caratteristiche, ovvero:

  • la numerazione progressiva delle pagine,
  • la bollatura in ogni pagina
  • nonché l’apposizione della dichiarazione da parte dell’autorità che aveva bollato le pagine, circa il numero complessivo delle stesse.

La nota 7180 sottolinea che la vidimazione del registro con le modalità sopra descritte è volta a garantire la veridicità del documento e prevenirne una alternazione dei contenuti 

Viena inoltre dato atto che, quantunque il CTS (Codice del Terzo Settore) non preveda espressamente l’obbligo di numerare e bollare le pagine e di attestarne il numero complessivo, ciò non significa che tali adempimenti non siano più necessari.

La loro previsione è infatti contenuta nelle disposizioni di attuazione (concernendo la modalità di tenuta del registro dei volontari) dell’obbligo assicurativo; obbligo che, chiarisce la nota, è tuttora in essere e che anzi viene esteso a tutti gli enti del Terzo settore, assieme alla possibilità di avvalersi di volontari.

In ultimo rammentiamo che tale vidimazione può avvenire da parte di un Pubblico Ufficiale (notaio, Segretario Comunale ) e che i dati riportati devono riguardare : le generalità complete del Volontario e la data d’inizio ( ed eventualmente di termine ) dell’attività di volontariato. Tali dati devono, inoltre essere mantenuti in costante aggiornamento.

Adeguamento statuti degli ETS: c’è un’ulteriore proroga

L’esigenza di adeguare gli statuti degli Enti che verranno iscritti nel registro Unico nazionale del terzo settore ad alcune disposizioni inderogabili previste dal Codice del terzo Settore è stata favorita, da parte del Legislatore, con la previsione di poter adottare una c.d. “modalità semplificata” ( adozione di modalità e maggioranze previste per le assemblee ordinarie, anziché quelle previste per le assemblee straordinarie, come richiederebbe un intervento  di correzione dello statuto ) contenuta al 2° comma dell’ art. 101 del Codice.

Tale possibilità, tuttavia, era originariamente previsto avesse un termine di 18 mesi dalla pubblicazione del codice (e perciò fosse attuabile fino a dicembre del 2018).

Una serie di proroghe di tale scadenza, successivamente intervenute, ha condotto allo “slittamento” di questa data che è giunto fino al 31 maggio scorso.

Di tale argomento abbiamo ripetutamente trattato, anche in questa sezione del sito di Vol.To. Colleghiamo, di seguito, l’ultimo intervento sul tema:

https://www.volontariatotorino.it/adeguamento-degli-statuti-ulteriore-proroga-per-lutilizzazione-della-modalita-semplificata/

Il D.L. “semplificazioni” (d.l. 77 del 31 maggio 2021) proroga ulteriormente al 31 maggio 2022 la possibilità di adottare le modalità “semplificate”, al fine di rendere – appunto – più “semplice” adottare quelle modifiche statutarie che si dovessero rendere necessarie per l’iscrizione ne RUNTS, la cui operatività viene data ormai per imminente

La vidimazione del registro dei volontari: è obbligatoria?

Spesso ricorre, nell’interlocuzione con le organizzazioni che si rivolgono al nostro centro, una domanda relativa all’ obbligo di far vidimare il “registro dei volontari” dell’Ente. Comprendiamo meglio quali siano le disposizioni in materia.

Lo scorso 28 maggio il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali è intervenuto con una nota (la nota 7180) su una questione spesso dibattuta e su cui era, più che mai, necessario un pronunciamento da parte del Ministero. Di seguito, il rimando alla nota citata:

https://www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/normative/Documents/2021/Nota-7180-del-28052021-Vidimazione-registro-dei-Volontari.pdf

La nota chiarisce che il Codice del Terzo Settore ha espressamente previsto, per tutti gli enti del Terzo settore che si avvalgono di volontari non occasionali, l’obbligo di iscriverli in un apposito registro.

Un decreto del Ministro dell’industria, commercio e artigianato (ora Ministro dello sviluppo economico) del 14 febbraio 1992, come modificato dal successivo decreto del 16 novembre 1992, attuativo dell’articolo 4 della legge quadro sul volontariato n. 266/1991, e del relativo obbligo assicurativo, prevede l’istituzione di un registro dei volontari con le relative caratteristiche, ovvero:

  • la numerazione progressiva delle pagine,
  • la bollatura in ogni pagina
  • nonché l’apposizione della dichiarazione da parte dell’autorità che aveva bollato le pagine, circa il numero complessivo delle stesse.

La nota 7180 sottolinea che la vidimazione del registro con le modalità sopra descritte è volta a garantire la veridicità del documento e prevenirne una alternazione dei contenuti 

Viena inoltre dato atto che, quantunque il CTS (Codice del Terzo Settore) non preveda espressamente l’obbligo di numerare e bollare le pagine e di attestarne il numero complessivo, ciò non significa che tali adempimenti non siano più necessari.

La loro previsione è infatti contenuta nelle disposizioni di attuazione (concernendo la modalità di tenuta del registro dei volontari) dell’obbligo assicurativo; obbligo che, chiarisce la nota, è tuttora in essere e che anzi viene esteso a tutti gli enti del Terzo settore, assieme alla possibilità di avvalersi di volontari.

In ultimo rammentiamo che tale vidimazione può avvenire da parte di un Pubblico Ufficiale (notaio, Segretario Comunale ) e che i dati riportati devono riguardare : le generalità complete del Volontario e la data d’inizio ( ed eventualmente di termine ) dell’attività di volontariato. Tali dati devono, inoltre essere mantenuti in costante aggiornamento.

Ripresa delle attività educative e ricreative: ordinanza dei Ministeri della Salute e della Famiglia

Con un’ordinanza pubblicata il 21 maggio 2021 i Ministri Speranza e Bonetti hanno definito le “regole” per la riapertura – nella massima sicurezza – delle attività educative e ricreative per i minori.  Vediamole negli aspetti più rilevanti per gli Enti del Terzo Settore.

 

Nel processo di progressiva riapertura delle attività che l’emergenza da Covid-19 ha bloccato o fortemente ridotto, il Ministero della Salute e quello della Famiglia sono intervenuti con un’ordinanza, pubblicata il 21 maggio scorso, che regola le modalità di svolgimento di due importanti settori d’intervento in cui gli enti associativi sono particolarmente impegnati: le attività educative e quelle ricreative per i minori.

Clicca qui per consultare il testo integrale dell’ordinanza

L’ordinanza richiama le “linee-guida per la gestione in sicurezza di attività educative non-formali ed informali, di attività ricreative volte al benessere dei minori durante l’emergenza Covid-19”, aggiornandole.

Tra gli argomenti trattati alcuni rivestono particolare interesse per gli Enti del Terzo Settore, rappresentando campi di intervento in cui sono particolarmente presenti. Fra essi ricordiamo:

  • centri estivi;
  • servizi socioeducativi;
  • attività di comunità;
  • attività educative con pernottamento;
  • attività presso istituzioni culturali e museali;
  • attività all’aria aperta.

È del tutto evidente che l’adozione e il rispetto di queste linee-guida da parete degli Enti interessati rappresenti un altro importante tassello per la ripresa – in sicurezza – delle loro attività e quindi, in definitiva, per la ripresa di quella “normalità” da tutti auspicata, e della quale gli Enti del Terzo Settore sono, in molti campi, assoluti protagonisti.

Soci minorenni: si può? La possibilità di un minore di essere socio di una OdV (o APS)

Spesso viene richiesto al Centro Servizi per il Volontariato se un minorenne può associarsi a una Organizzazione di Volontariato (o Associazione di Promozione Sociale) e, in caso positivo, quali diritti e doveri abbia.

Proviamo a esaminare la questione partendo da un’affermazione incontrovertibile: nulla lo vieta espressamente, a meno che non esista una clausola statutaria specifica che escluda l’ammissione di soci minorenni (clausola, peraltro, perfettamente legittima, qualora fosse prevista).

Altra considerazione va fatta, invece, sul fatto che essendo l’associazione un “contratto” che, come tale, deve essere concluso soltanto da chi ha la “capacità di agire” (che si acquista con la maggiore età), parrebbe da ciò esclusa la possibilità che stiamo esaminando.

Ma numerose norme nazionali e internazionali (ad esempio la convenzione di New York sui diritti dei fanciulli) portano a ritenere che i minori possano compiere, comunque, i “piccoli atti della vita quotidiana” che non arrecano loro pregiudizio. L’art. 18 della Costituzione della Repubblica Italiana, nell’assicurare il diritto ad associarsi, non pone alcuna limitazione a tale diritto e, pertanto, si ritiene – da parte della grande maggioranza dei commentatori – che le organizzazioni di tipo associativo abbiano la facoltà di accogliere come soci anche i minori (pur senza averne il dovere, come detto).

Ci corre l’obbligo, però, di esprime alcuni consigli prudenziali qualora le associazioni optino per questa scelta: innanzitutto verificare, qualora questi soci abbiano anche funzioni operative (siano, cioè, volontari dell’Ente), che la copertura assicurativa si estenda anche a volontari minorenni; precauzionalmente (e in riferimento alla già citata “capacità di agire” limitata del minore), far sottoscrivere la domanda di adesione al genitore, così da armonizzare l’esercizio del diritto del minore con la legittima interferenza di chi esercita la patria potestà (con specifica funzione giuridica di vigilanza, educazione e protezione) .

Ben diversa considerazione va fatta, invece, per quanto riguarda l’esercizio dei diritti associativi da parte del minore. Abbiamo in ogni sede ripetuto il concetto che a tutti i soci va assicurata parità di diritti. Nel caso di cui ci occupiamo, però, occorre integrare tale concetto con la più volte richiamata limitata “capacità di agire” del minore-socio (soprattutto laddove potrebbe generarsi quel “pregiudizio a se stesso” che deve essere assolutamente escluso).

Se non vi sono dubbi sulla facoltà di intervenire in assemblea e sul diritto di voto (elettorato attivo) qualora quest’ ultimo non comporti rilevanti conseguenze sul piano giuridico o economico per il minore, molto più dubbio è il diritto all’elettorato passivo (ossia a essere votato a ricoprire cariche associative).

Questa situazione, infatti, comporterebbe il compimento di veri e propri atti giuridici di cui il minore stesso, a questo punto, avrebbe la responsabilità e questo fatto confligge con quella limitazione della “capacità di agire” di cui stiamo trattando, non potendoli riconoscere fra i “piccoli atti di vita quotidiana” che il minore è autorizzato a compiere.

A questo proposito segnaliamo alcune interpretazioni (sempre più diffuse) che sostengono che:

  • lo statuto può escludere l’esercizio di alcuni diritti sociali per i soci minorenni (prevedendo per questi uno “status” speciale);
  • è possibile prevedere l’espressione del voto (elettorato attivo) da parte del genitore, in quanto rappresentante legale, fino alla maggiore età del socio;
  • il genitore non può in nessun caso esercitare l’elettorato passivo (ovvero farsi eleggere in rappresentanza del figlio) essendo questo un diritto personalissimo del socio.

 

Le raccolte pubbliche di fondi destinati a “finanziare” l’attività o progetti

Le raccolte pubbliche di fondi destinati a “finanziare” l’attività o uno specifico progetto di organizzazioni che non esercitano prevalentemente attività commerciale assumono un’importanza rilevante per garantire una “boccata d’ossigeno” alle casse di queste organizzazioni e quindi alle loro meritorie attività. Occorre, però, rispettare alcune prescrizioni normative per non incorrere – pur se animati dalle migliori intenzioni – in spiacevoli “incidenti”.  Vediamole:

Tutti gli Enti non-commerciali (e perciò anche le ODV, le APS e, più in generale, gli Enti “non profit” che non svolgono prevalentemente attività commerciale) possono reperire fondi da privati attraverso manifestazioni ed attività rivolte al pubblico in generale, anche con lo scambio di beni o di servizi con i fruitori che sono, così, più sollecitati a versare fondi per sostenere la “buona causa” di questi Enti.

Tali raccolte-fondi, se hanno le caratteristiche precisate dall’art. 2 – secondo comma– del d.lgs. 460/97 (riordino degli Enti non-commerciali), generano proventi che non concorrono alla formazione del reddito e quindi non sono soggetti a tassazione. Identico concetto è espresso dall’ art. 143 del TUIR (testo unico delle imposte sui redditi) che, in sostanza, de-commercializza:  “i fondi pervenuti ai predetti enti ( enti non-commerciali ) a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente, anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi di sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione”.

Ne deriva, quindi che i proventi di raccolte fondi occasionali da parte di Enti non commerciali:

  • non concorrono alla formazione del reddito imponibile;
  • non sono soggetti ad IVA.

sono esenti da ogni altro tributo

Tuttavia, affinché le predette raccolte possano effettivamente beneficiare del generalizzato regime di esclusione da ogni tributo, è necessario che le stesse rispettino le seguenti condizioni:

  • deve trattarsi di raccolta pubblica (ossia proposte dirette alla generalità dei soggetti);
  • l’iniziativa deve essere occasionale (quindi non continuativa, il concetto di occasionalità tuttavia non risulta precisamente individuato. Possiamo però, per analogia ad altre disposizioni, ipotizzare che non debba superare il limite di due iniziative l’anno)
  • che sia organizzata in concomitanza di un’occasione particolare (un evento, una ricorrenza, una festività, una campagna di sensibilizzazione ecc.);
  • qualora venissero scambiati dei beni o servizi, questi ultimi devono avere un valore commerciale modico, ossia deve rappresentare un simbolo, il pretesto per una sovvenzione in denaro;

Da non dimenticare, inoltre, che la “raccolta-fondi” dovrà essere correttamente rendicontata con un apposito documento. Infatti “entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio l’ente non – commerciale deve redigere un apposito separato rendiconto…. dal quale devono risultare, anche a mezzo di una relazione illustrativa, in modo chiaro e trasparente le entrate e le spese relative a ciascuna raccolta-fondi“.

Infine occorre ricordare che, qualora la raccolta così organizzata, preveda l’occupazione di spazi pubblici l’Ente organizzatore dovrà chiedere opportuna autorizzazione all’ Ente proprietario (Comune, Provincia etc.) e pagare gli eventuali costi legati all’occupazione del suolo pubblico (Tosap, etc.)

Il Centro Servizi, ovviamente, è a disposizione per fornire le necessarie informazioni in merito.

Adeguamento degli statuti: ulteriore proroga per l’utilizzazione della “modalità semplificata”

La legge di conversione del decreto 125 assicura un’ulteriore proroga della scadenza per l’adeguamento degli statuti con modalità semplificata

Con l’approvazione definitiva della conversione del decreto legge sullo stato di emergenza dello scorso 7 ottobre (dl 125/2020), passa l’ulteriore proroga alla scadenza per l’adeguamento degli statuti con maggioranze semplificate per organizzazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale e Onlus, in base alle indicazioni del codice del Terzo Settore (art. 101 c.2).

La scadenza slitta al 31 marzo 2021,annullando la data precedentemente fissata al 31 ottobre 2020. Lo stesso differimento è disposto anche per le imprese sociali. L’intento è quello di allineare sempre di più la scadenza alla data di operatività del registro unico nazionale del Terzo settore, che, con grande probabilità, avverrà la prossima primavera.

Per tutti gli enti non profit quindi, comprese le Odv, le Aps e le Onlus, rimane comunque la possibilità di adeguare lo statuto alle indicazioni previste dal Codice del Terzo settore, con le maggioranze previste dall’assemblea straordinaria (che prevedono solitamente quorum di partecipazione aggravati rispetto a quella ordinaria). Ricordiamo che la verifica dell’avvenuto adeguamento statutario avverrà al momento dell’ “immissione” dell’ Ente nel Registro Unico e, qualora gli Enti non abbiano provveduto ad allineare i propri statuti alla normativa , i tempi concessi per provvedere a ciò saranno piuttosto brevi e, comunque, le relative assemblee non potranno più effettuarsi con modalità semplificata.

Due buoni motivi per provvedere, quindi, anche in considerazione che la data di operatività del registro unico, ormai, è piuttosto ravvicinata.

Le responsabilità patrimoniali trattate nel libro I del Codice Civile

La responsabilità patrimoniale degli amministratori, l’autonomia patrimoniale (“perfetta” o “imperfetta”), il riconoscimento della personalità giuridica. Cioè?

Spesso riceviamo richieste di informazioni rispetto ai tre concetti che costituiscono il titolo di questo “ago”.

Tre concetti diversi e separati, ma tra loro strettamente connessi e molto rilevanti nell’esercizio dell’attività delle Associazioni.

Proviamo ad esaminarli “da vicino”. 

Incominciamo da una constatazione: il codice civile, laddove si occupa (libro I) di “associazioni” le suddivide in due grandi categorie : quelle “riconosciute” e quelle “non riconosciute” .

Alle prime ( con le “fondazioni”) sono dedicati gli articoli dal 14 al 35, mentre alle seconde (con i “comitati”) quelli dal 36 al 42.

Il “riconoscimento” cui si fa riferimento è quello della personalità giuridica di diritto privato , ovvero

  • Il riconoscimento delle persone giuridiche private che operano nelle materie attribuite alla competenza delle regioni e le cui finalità statutarie si esauriscono nell’ambito di una sola regione, determinato dall’iscrizione nel registro delle persone giuridiche istituito presso la stessa Regionein base a quanto disposto dal DPR 10 febbraio 2000, n. 361.
  • Il riconoscimento delle persone giuridiche di carattere privato operanti in ambito nazionale (o le cui finalità statutarie interessano il territorio di più regioni) e/o in settori di competenza statale) acquisito attraverso iscrizione nel Registro delle persone giuridiche private istituito presso le Prefetture – U.T.G.

L’acquisizione della personalità giuridica è perciò una caratteristica facoltativa dell’ente. Per un’associazione, acquisire la personalità giuridica significa fornire garanzie e certezza del diritto ai terzi e  poter usufruire di un regime di responsabilità limitata nei confronti dei creditori: in altre parole, per gli eventuali debiti o obbligazioni di natura civilistica contratti dall’ente risponderà solamente quest’ultimo con il proprio patrimonio e non anche gli amministratori (o i singoli partecipanti, nei comitati)  con il loro patrimonio personale.

Bisogna, perciò, sgombrare il campo da  alcune false convinzioni, come ad esempio, quella di essere una “associazione riconosciuta” per il semplice fatto di aver ottenuta la registrazione del proprio atto costitutivo dall’agenzia delle entrate, oppure  per l’essere stati iscritti in un registro/albo/elenco o ancora per l’aver ottenuto – sempre dall’agenzia delle entrate- il codice fiscale o il numero di partita IVA.

Molto rilevante, a questo punto, è menzionare una “terza via” per la possibile acquisizione della personalità giuridica.

La riforma del terzo settore ha introdotto la possibilità (art. 22 del Codice del terzo settore) di ottenere tale riconoscimento mediante l’ iscrizione in apposita sezione del RUNTS .

E’ una modalità, ovviamente, riservata solamente agli ETS che si iscrivono nel registro unico  e che  rappresenta una semplificazione ed abbrevia in modo molto significativo i tempi necessari.

Al momento dell’iscrizione nel RUNTS (anche per “trasmigrazione” dagli attuali registri regionali delle odv ed aps) può essere fatta richiesta di tale riconoscimento da parte di un notaio che attesta la sussistenza dei requisiti formali e patrimoniali che lo consentono. Il registro, in assenza di motivi di diniego, iscrive l’ Ente entro 60 giorni. Un tempo molto breve, perciò (soprattutto e rapportato ai tempi delle modalità attualmente disponibili) ed una procedura “leggera” che dovrebbero ampliare di molto il numero delle associazioni che godranno di questo riconoscimento.

    • Occorre però tenere presente alcuni fatti da cui non si può prescindere:
      – La richiesta di iscrizione deve essere presentata da un notaio, cui spetta il compito di certificare l’entità del “patrimonio “ di cui dispone l’associazione;
      – Questo patrimonio deve essere non inferiore a 15.000€ e non può essere alienato;
      – L’associazione deve essere costituita con atto pubblico o, se non lo è dall’origine, l’atto costitutivo deve essere trasformato in atto pubblico.

E’ quindi del tutto evidente che la decisione di richiedere l’attribuzione della personalità giuridica autonoma comporta due consapevolezze .

  • Che si deve (e si dovrà) sempre possedere un patrimonio “dell’associazione” di almeno 15.000 € (in denaro, titoli, beni – ma in questo caso il valore del bene dovrà essere determinato con apposita perizia);
  • Che vi sono costi per gli onorari del notaio che deve : a) istruire la pratica per la richiesta di riconoscimento contestuale all’iscrizione nel RUNTS ;  b) (eventualmente) redigere l’atto pubblico per “modificare” l’originale scrittura privata di costituzione dell’ Ente, qualora quest’ultimo non sia stato costituito fin dall’origine con atto pubblico (…ossia con atto notarile).

Ma, anche qui, liberiamo il campo da un equivoco: l’iscrizione nel RUNTSA non comporta automaticamente l’attribuzione della personalità giuridica; essa avviene solo per chi segue la procedura sopra delineata, con l’intervento di un notaio. Gli ETS potranno tranquillamente iscriversi nel RUNTS senza richiedere l’attribuzione della personalità giuridica, rimanendo, così – per il codice civile-  un’ “associazione non riconosciuta” . 

Concludiamo con un’annotazione sulla differenza nell’attribuzione delle responsabilità patrimoniali fra le forme previste dal nostro codice civile ;

  • Nelle “fondazioni” (che devono avere necessariamente propria personalità giuridica) l’autonomia patrimoniale è “perfetta”, ovvero vi è separazione completa fra il patrimonio della fondazione e quello delle persone che per essa agiscono;
  • Nelle “associazioni” abbiamo già esaminato la differenza fra quelle “riconosciute” (in cui vi è separazione patrimoniale, analogamente a quanto descritto al punto precedente) e quelle ”non riconosciute” in cui l’autonomia patrimoniale “imperfetta” fa si che, oltre che sul fondo comune, eventuali creditori possano agire sul patrimonio di chi abbia agito “in nome e per conto” dell’associazione stessa, ovvero – tipicamente -. degli amministratori che hanno concorso alla decisione che ha determinato l’obbligazione (art. 38 c.c.)
  • Nei “comitati”, qualora questi non abbiano il riconoscimento (possibile ma estremamente raro) della personalità giuridica, la responsabilità patrimoniale ricade (art. 41 c.c.) sui singoli , siano essi qualificati come “promotori” che come “organizzatori” ma anche semplici componenti del comitato.

Diversa, ovviamente, la responsabilità di chi si sia impegnato mediante la sottoscrizione di oblazioni  (i c.d. “sottoscrittori”) essendo questi tenuti al solo versamento dei beni promessi e non divenendo, per questo, membri del comitato.