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“Dal vuoto, al volto”, mostra prorogata fino al 9 ottobre

“Dal vuoto, al volto” è il reportage realizzato dal fotografo Tomás Cajueiro in collaborazione con Vol.To – Centro Servizi per il Volontariato di Torino che sarà in mostra straordinariamente sulle otto vetrine dell’URP, l’Ufficio relazioni con il pubblico del Consiglio Regionale del Piemonte, in via Arsenale 14 a Torino dal 27 luglio al 9 ottobre.

Il progetto, curato da Giovanna Ricca con la partecipazione del Visual Designer Bruno Consani, è un eccezionale racconto della pandemia attraverso gli occhi di un fotografo che, arrivato da pochissimo nel capoluogo piemontese, ha deciso di legare con un unico “filo narrativo” il vuoto delle strade e il volto dei volontari durante i difficili giorni del lockdown.

Gli scatti realizzati in parte nelle vie dei diversi quartieri della città e in parte all’interno delle associazioni non-profit attive anche in quei giorni difficili sono la forte testimonianza di un momento storico contraddistinto sì dall’isolamento e dal distanziamento sociale, ma anche dalla volontà di una comunità che, mentre affronta una sfida epocale, si riunisce per combattere gli effetti sociali di un’inevitabile crisi economica.

Gerardo Gatto, presidente di Vol.To, ha commentato così la collaborazione del Centro Servizi del Volontariato con il fotografo Tomás Cajueiro: “La fotografia è una forma d’arte con un potere speciale: ha la capacità con una sola immagine di immortalare gli avvenimenti storici e con essi i volti delle persone che ne sono stati protagonisti. Ogni scatto può trasformarsi in una straordinaria e potente storia che svela qualcosa che c’è nel profondo del cuore. C’è tutto questo anche nel bellissimo lavoro di Cajueiro: nei suoi scatti infatti c’è sia il disorientamento di una città e dei suoi cittadini per un evento di portata epocale sia la determinazione di quei volontari che coscienziosamente hanno voluto fare un passo in avanti, verso la prima linea, e tendere una mano a chi più aveva bisogno. C’è infine un grido che attende una risposta”.

Le strade vuote

La prima parte della serie fotografica di Tomás Cajueiro è una testimonianza storica del vuoto delle strade e di una città impaurita mentre affronta una delle più grandi sfide della sua storia recente. Realizzate rispettando tutte le misure di sicurezza imposte nella prima fase dell’emergenza sanitaria, le fotografie trasmettono contemporaneamente sia l’angoscia della città che attende il risveglio sia la speranza dei suoi cittadini per il superamento dell’inaspettata e incerta situazione. Gli scatti di strade senza persone, di interazioni sociali avvenute dalle finestre, di incontri per caso in coda al supermercato o in farmacia raccontano molto bene di una città che in poche settimane è passata dalla normalità alla più grande crisi degli ultimi decenni.

Il volto dei volontari

Sotto il silenzio delle grandi vie e la solitudine dei parchi, la società torinese però si è mossa e ha dimostrato un’enorme forza e resilienza che ben si evidenzia nella seconda parte della serie: i ritratti con e senza la mascherina, in primo piano, dei volontari che combattono la pandemia nei suoi diversi aspetti. Le immagini scattate in diverse associazioni torinesi, in partnership con Vol.To (Centro Servizi per il Volontariato di Torino), vogliono mettere per una volta al centro quei volontari che facendo fronte al rischio sanitario sono stati in prima linea nella lotta contro gli impatti sociali ed economici causati dall’emergenza del coronavirus. Sono proprio quei volontari il volto umano di questa emergenza storica.

#OnlineFaMaleUguale – George Floyd e le mille voci soffocate dal razzismo

George Floyd era un cittadino afroamericano di 46 anni, padre di due figlie, che viveva a Minneapolis, in Minnesota, nel Nord degli Stati Uniti. Tutto cominciò quando la sera del 25 Maggio, un commerciante fece una segnalazione su un uomo alto e di colore che aveva utilizzato – secondo una sua supposizione – una banconota da venti dollari falsa per acquistare un pacco di sigarette. Ciò ha comportato l’immediato intervento di quattro agenti, che una volta giunti sul posto lo hanno identificato. Secondo la ricostruzione dei poliziotti, G. Floyd oppose resistenza agli agenti che si videro quindi costretti a procedere con l’arresto. Floyd, che era disarmato, fu immobilizzato a terra a pancia in giù e con il volto girato verso destra.

La sua vita sarebbe finita 8 minuti e 46 secondi dopo. Come succede spesso, quando si tratta di cittadini afroamericani che vengono fermati dalla polizia, diversi passanti hanno iniziato a riprendere con il proprio smartphone la scena per documentare l’accaduto. Quello che ha permesso alla storia di George Floyd di diventare virale è che una di queste riprese sia stata trasmessa in diretta Facebook da un passante, permettendo al mondo di conoscere quanto accaduto. Il video in cui si sente la voce di Floyd implorante che grida “I can’t breath” è diventato virale, scuotendo le coscienze di milioni di cittadini in tutti gli Stati Uniti, provocando l’indignazione di chi crede ancora nella solidarietà e nell’equità.

Da quel momento “I can’t breath” è diventato un eco prepotente che risuona nelle voci di giovani, adulti e anziani per le strade e nelle piazze delle più grandi città per dire “BASTA”.

“Basta” perché purtroppo George Floyd è solo l’ultimo nome di una lunga lista di afroamericani uccisi da chi aveva il compito di difenderli.

“Basta” perché nel 2020 si palesa ancora la necessità di affrontare le ombre onnipresenti e preoccupanti dei razzismi, dell’odio e della discriminazione etnica.

Le proteste in relazione all’omicidio di George Floyd, sono frutto di sentimenti di insoddisfazione e di rabbia per un razzismo violento insito nella società americana: di fatti, secondo uno studio del Proceedings of the National Academy of Science of the United States of America, periodico ufficiale della National Academy of Sciences (NAS), essere uccisi durante un arresto da parte di un agente di polizia rappresenta negli Usa la sesta causa di morte per gli uomini di età compresa tra i 25 e i 29 anni appartenenti a qualsiasi gruppo etnico. Rispetto ai bianchi, gli uomini afroamericani sono 2,5 volte più a rischio. Inoltre, in base alle statistiche raccolte, risulta che un uomo o un ragazzo di colore ogni mille negli Stati Uniti, verrà ucciso da un agente di polizia nel corso della propria vita. Tali episodi sono la causa dell’1,6% di tutti i decessi di afroamericani tra i 20 e i 24 anni.

Eppure, una delle difficoltà maggiori per comprendere le reali dimensioni del fenomeno, è rappresentata dalla mancanza di dati affidabili e completi a livello federale. La realtà è che ci ritroviamo una società profondamente segnata da un “racial bias”, ovvero da un pregiudizio razziale nei confronti di tutti i diversi gruppi etnici che vivono nella società americana. George Floyd non è morto perché era un criminale, George Floyd è morto per il colore della sua pelle. E le proteste che continuano a riempire dopo mesi le strade delle città americane, rappresentano una presa di posizione nei confronti di questa violenza sistematica da parte dei corpi di polizia.

Ma la questione del valore delle vite dei nerinon è soltanto statunitense. Tra il 1° gennaio 2008 e il 31 Marzo 2020, i casi documentati di razzismo in Italia sono stati 7.426. Lo afferma l’ultimo “Libro bianco sul razzismo in Italia”, l’indagine pubblicata dall’associazione Lunariainsieme al sito “Cronache di ordinario razzismo”che ci informa inoltre che nel complesso il biennio 2018-2019 è stato il peggiore degli ultimi dieci anni. I dati più preoccupanti riguardano le 901 violenze fisiche contro le persone e i 177 danneggiamenti di beni o proprietà connessi alla presenza di cittadini stranieri. Un’altra fonte di riferimento per la raccolta dati su casi di discriminazione nel nostro Paese, è rappresentata dall’ UNAR(Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) che ci dice come nell’anno 2018 il 70,4% dei casi di discriminazione segnalati siano scaturiti da un movente etnico-razziale. È chiaro come i numeri riportati siano indice di un preoccupante problema sociale in aumento nel nostro Paese: i giovani scesi in piazza nelle settimane successive all’omicidio di George Floyd, sono consapevoli che il problema del razzismo in Italia è una questione di cui c’è ancora tanto bisogno di parlarne, perché l’Italia non è esente da colpe.

Lo raccontano le morti di Soumalia Sacko, bracciante e sindacalista morto per un colpo di fucile alla nuca nella piana di Gioia Tauro mentre cercava lamiere in un’ex fabbrica per costruire un riparo di fortuna destinato ad altri braccianti, o ancora di Adnan Sidiqque, assassinato per aver difeso i braccianti dai caporali a Caltanissetta. Ma anche fatti più recenti, come l’omicidio di Willy Monteiro Duerte,giovane ventunenne di origini capoverdiane, massacrato a calci e pugni nella notte tra il 5 e il 6 settembre. La sua unica colpa: prendere le difese di uno dei suoi amici. Le indagini sono ancora aperte, ma già si parla di movente razziale e di come i ragazzi colpevoli dell’aggressione già da tempo avessero dimostrato atteggiamenti xenofobi e violenti.

Il razzismo che pervade oggi il nostro Paese non è altro che il frutto di un’educazione e percezione sbagliata che ci viene trasmessa quotidianamente da notizie infondate o il più delle volte travisate, a causa di una comunicazione politica troppo estremista e da una diffusione radicalizzata di stereotipi. Non sono in pochi ad associare il colore della pelle di qualcuno al concetto di inferiorità, o ancora a identificare quel qualcuno come un possibile aggressore o qualcuno da sottomettere e maltrattare.

Per questo c’è ancora bisogno di parlare di razzismo e cercare il modo di prevenire episodi come questi. La cura al razzismo è l’educazione: essere consapevoli del nostro passato e del privilegio di cui abbiamo usufruito per secoli per il colore della nostra pelle, deve servire a essere più coscienti che la diversità non è una minaccia, ma una risorsa. L’educazione ci aiuta a liberare la mente dagli stereotipi, ci aiuta a cambiare la narrazione della società in cui viviamo e a costruire un’umanità più solidale.

Rebecca Viniello, Serviziocivilista di Vol.To

Registro unico del Terzo Settore: ci siamo!

Il “via-libera” ottenuto della Conferenza Stato-Regioni consentirà, a breve, l’emanazione da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del tanto atteso decreto applicativo dell’art. 53 del “Codice del Terzo settore”. È il decreto che definisce le procedure per l’iscrizione nel Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS), individuando i documenti necessari, le modalità e le regole per la gestione.

Le Regioni, dalla data dell’emanazione (che si prevede dovrebbe avvenire entro la fine del mese corrente) avranno 180 giorni per rendere operativi gli “uffici regionali del Registro Unico Nazionale del Terzo Settore”, elemento-chiave per il funzionamento dello stesso. Sarà con questi uffici, infatti, che dovrà avvenire l’interlocuzione da parte degli Enti del Terzo Settore dei rispettivi territori.

Dalla data di istituzione di questi uffici, prenderanno avvio le procedure di iscrizione diretta nel RUNTS o, per le Organizzazioni di Volontariato e le Associazioni di Promozione Sociale che avranno provveduto ad adeguare i propri statuti secondo quanto richiesto dall’ art. 101 del “Codice del Terzo Settore”, di automatica “trasmigrazione” dagli attuali Registri regionali di settore.

Altro discorso, invece, per le Onlus iscritte nell’elenco tenuto dall’Agenzia delle Entrate. Per questi Enti non è prevista alcuna procedura “automatica” di trasmigrazione, ma occorrerà che ciascuno di essi operi una scelta, inoltrando richiesta d’iscrizione in una delle (7) sezioni in cui è articolato il registro.

Tale iscrizione dovrà avvenire entro il primo esercizio successivo a quello di operatività del RUNTS (e perciò – nella quasi generalità dei casi – il 1° gennaio 2022, se l’attivazione del registro avverrà, come pare ormai certo, nel 2021).

#OnlineFaMaleUguale – Il cyberbullismo nel mondo dei videogiochi

Bullismo, odio, discriminazione: sono fenomeni che ben si prestano ad ogni ambiente e contesto. Li ritroviamo nelle strade, in televisione, dentro ai negozi, nelle scuole, negli ambienti di lavoro. L’avvento di Internet, oltre a tante inedite opportunità, ha avuto come effetto collaterale quello di offrire nuovi terreni fertili al propagarsi di atteggiamenti offensivi e spesso anche propriamente violenti.

Quando si parla di cyberbullismo ci si concentra principalmente sugli episodi che si verificano sui social network, ma esiste un altro mondo virtuale altrettanto popolato e altrettanto rilevante quando si affronta il tema del cyberbullismo: il gaming online.

Se fino a pochi anni fa giocare ai videogiochi era un’attività che si poteva svolgere solo individualmente, ora è invece possibile sfidare o collaborare virtualmente con utenti sconosciuti che possono essere collegati da ogni parte del mondo. In questo modo i gamer interagiscono in diretta ma ciascuno da casa propria, con la possibilità di comunicare tra di loro attraverso delle semplici cuffiette ed un microfono.

Per chi è appassionato di sfide sulle auto, di “survival” o di “sparatutto” questa modalità offre sicuramente nuove e più stimolanti dinamiche di gioco. Parallelamente però apre anche la porta ad esperienze ben meno positive. Venir presi in giro dall’avversario per le proprie capacità di gioco, ricevere commenti a sfondo sessuale, venire insultati o persino minacciati. Questi sono solo alcuni esempi di ciò che può avvenire durante una partita ad un videogioco online. I risultati di un sondaggio condotto da Ditch the Label, una delle principali organizzazioni senza scopo di lucro che si occupano di bullismo, mostrano che il 57% dei gamer da loro intervistati è stato vittima di cyberbullismo proprio nel contesto delle partite online.

Questo dato ci dà sicuramente già un buon motivo per sostenere che sia necessario affrontare la questione, ma mi piacerebbe fare un’altra piccola riflessione al riguardo.

Abbiamo tutti un posto dove rifugiarci quando lo stress della giornata diventa eccessivo: alcuni di noi trovano questa serenità nelle pagine di un libro, altri in una sala prove o in un campo di basket, altri ancora nelle cuffie del telefono dal quale escono le note della loro playlist preferita. Io, per esempio, la trovo tra le piante del mio giardino.
Non so se leggendo queste righe la vostra mente sia andata a pensare a quello che voi considerate il vostro “rifugio”, ma se è così provate a immaginare che questo posto da medicina diventi veleno. Immaginate che qualcosa turbi quell’equilibrio trasformando un momento di svago di cui avevate estremamente bisogno in qualcosa che a sua volta vi provoca sofferenza. Per una significativa parte dei ragazzi e delle ragazze che sono vittima di bullismo nella vita reale, quel “rifugio” sono proprio i videogiochi. Secondo i dati di Ditch the Label una delle caratteristiche personali che rende più probabile che un adolescente giochi online è proprio l’aver subito esperienze di bullismo “offline”. Questo perché spesso il videogioco diventa una forma di fuga dallo stress generato da queste esperienze. Il mondo dei videogiochi online è quindi un ambiente particolarmente importante da tutelare, in quanto ospita molti di coloro che già sono segnati da queste esperienze. Se la medicina diventa essa stessa veleno, se le stesse pesanti dinamiche si verificano anche all’interno degli spazi che questi ragazzi e ragazze riescono a ritagliarsi dal bullismo, gli effetti negativi su di loro non possono far altro che venire amplificati.

Giulia Bocca, serviziocivilista di Vol.To

Attivo on line lo “Sportello Caregiver” per volontari, associazioni e cittadini

È attivo in versione on line lo sportello Caregiver attivato dal Centro Servizi per il Volontariato Vol.To in collaborazione con l’associazione Gilo Care: cittadini e volontari possono accedervi inviando una mail a gilocare@hotmail.com o  mandato un sms al numero 324/6829563.

Gilo Care Onlus è una Organizzazione di Volontariato che ha come mission il supporto e l’accompagnamento per caregiver familiari. I bisogni delle famiglie in cui ci sia una persona che necessita di aiuto costante – per ragioni sanitarie e no, che sia bambino, anziano o disabile – non sono solo economici, ma sono anche relativi ad ambiti spesso sottovalutati come la socialità, le relazioni, la burocrazia, la logistica, il lavoro, la consapevolezza del ruolo (responsabilità e carico di lavoro), i risvolti emotivi ed organizzativi (focalizzare e usare le risorse, compiere scelte).

Lo sportello si rivolgerà, in modo gratuito, alle seguenti categorie di utenti:

  • Volontari, quelli che devono entrare in contatto, nel loro servizio, con le famiglie di persone non autosufficienti e interagire e rapportarsi non solo con la persona assistita, ma anche con i caregiver. #voloincasa
  • Associazioni, in tutti i casi in cui sia consigliabile tener presente il punto di vista del caregiver familiare nell’organizzare attività, momenti di formazione, iniziative di sostegno anche rivolte alle famiglie delle persone assistite. #guardacomeme
  • Cittadini, tutti coloro che (come caregiver famigliare, amico, parente, collega di lavoro) stanno affrontando un cambiamento nella relazione con una persona in perdita di autosufficienza e nella organizzazione della vita conseguente. #aiutofragile

CAREGIVER

In Italia non esiste un dato ufficiale su quanti siano in realtà i caregiver familiari, trattandosi di persone che si prendono cura dei propri cari nell’ombra, in maniera gratuita e volontaria, senza chiedere nulla in cambio e senza che la legge preveda per loro, finora, alcun diritto particolare.

Un’indagine ISTAT del 2011 ha rivelato la presenza in Italia di 15.182.000 persone che, nel contesto familiare, si prendono cura regolarmente di qualcuno, pari al 38% della popolazione di età 15-64 anni, di cui il 55% donne. Di questi:

  • 3.329.000 caregiver si prendono cura di adulti anziani, malati, disabili;
  • 10.944.000 genitori che si prendono cura di figli coabitanti di età entro i 15 anni;
  • 2.666.000 essenzialmente nonni, si prendono cura di altri bambini.

Secondo un’indagine condotta da Swg in occasione della Settimana della buona salute 2018, nel nostro paese ci sono più di oltre 5 milioni di caregiver familiari. I “caregiver” dei pazienti con demenza sono la grande maggioranza.
Sono in genere donne (74%), di cui il 31% di età inferiore a 45 anni, il 38% di età compresa tra 46 e 60, il 18% tra 61 e 70 e ben il 13% oltre i 70.
Un aspetto cui prestare particolare attenzione sono i giovani carevigers tra i 15 e 16 anni, che in Italia sono 169mila (ISTAT 2011).

Quella dell’assistenza fai da te è però, molto spesso, una scelta obbligata: in sei casi su dieci, infatti, le cure domestiche dirette, senza l’aiuto di una figura esterna, sono le uniche economicamente sostenibili (59% dei casi), mentre il 32% degli assistenti familiari segue personalmente il proprio parente perché preferisce non affidarne la cura ad estranei.

Tra chi può permetterselo si consolida la preferenza per le badanti (il 16% le impiega), circa un milione di addetti all’assistenza, uno su tre (il 35%) in servizio per oltre 18 ore a settimana. Anche la ricerca della badante è improntata al ‘fai da te’: il 72% ottiene il contatto attraverso il passaparola.

Secondo l’indagine Ipsos “Soprattutto donna! Valore e tutela del caregiver familiare”, quasi 9 italiane su 10 svolgono con diverso grado di intensità il ruolo di caregiver familiare: su un campione di 800 donne adulte, solo per il 14% delle italiane il coinvolgimento come caregiver è nullo o quasi; per il restante 86% le necessità familiari che ruotano attorno alla sfera della salute sono di competenza delle donne che sono presenti al momento della prevenzione (66%), vegliano sul percorso terapeutico (65%), sono l’interlocutore privilegiato del medico nella fase della diagnosi (58%) e della terapia (59%). Tale incombenza è ancora più intensa quando si tratta della salute dei bambini, quando la donna delega solo in una ristrettissima minoranza di casi al proprio partner la cura (6%) e i rapporti con il pediatra (5%).
Stringendo il campo, dai dati della ricerca emerge che un terzo circa (28%) delle famiglie delle donne intervistate c’è almeno un soggetto bisognoso di accudimento, perché portatore di una fragilità. In prevalenza di tratta di persone anziane, più o meno autosufficienti (20% in totale), ma in un caso su 10 si tratta di un malato grave o di un soggetto disabile. Nelle famiglie in cui la donna si occupa di qualcuno gravemente malato – 9% dei casi – è quasi sempre una persona anziana (madri, padri, un coniuge), mentre più rari sono i figli gravemente malati.

Al via il percorso P.IN.S – Piemonte Innovazione per il sociale

A partire da martedì 8 settembre, 12 partecipanti (5 giovani e 7 studenti dell’IIS Giuseppe Peano) del progetto europeo N.E.O.N. – Not Excluded from Our Neighbourhood, presentato da Vol.To e finanziato nell’ambito del Corpo Europeo di Solidarietà, seguiranno un percorso formativo parallelo, di accompagnamento e supporto allo sviluppo di idee progettuali, per una durata complessiva di 44 ore e che porterà al conseguimento di un attestato di partecipazione.

Il percorso, denominato P.IN.S – PIEMONTE INNOVAZIONE PER IL SOCIALE è racchiuso nell’Atto di indirizzo “WECARE: Welfare Cantiere Regionale – Strategia di innovazione Sociale della Regione Piemonte”, un intervento attuato con fondi europei attraverso le risorse del FSE (Fondo Sociale Europeo) e FESR (Fondo Europeo di Sviluppo Regionale) e derivanti dal POR (Piano Operativo Regionale) 2014-2020.

PINS Piemonte è iniziativa di un partenariato composto da Nodo c.s.c.s (Capofila), Ping s.c.s., CICSENE, Fondazione Istituto Tecnico Superiore per le Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione ed è realizzato in collaborazione e in rete con Make A Cube e Fondazione Torino Wireless.

La formazione generale sarà orientata a fornire nozioni e strumenti di base sui temi dell’innovazione sociale, ma anche tecnologica, come fattore abilitante per la crescita e il cambiamento. Seguirà poi una serie di laboratori sull’incubazione e lo sviluppo di idee progettuali e di incontri individuali e personalizzati di mentoring.

Il programma del percorso è consultabile qui.

Giovedì 3 settembre “PerGioVE!” riceve il Premio Eurodesk 2020

Giovedì 3 settembre alle ore 14 ci sarà la cerimonia di consegna online del Premio Eurodesk 2020, vinto quest’anno dal Centro Servizi per il Volontariato Vol.To per il progetto “PerGioVE! – Periferie Giovani Volontariato Europa”.

“PerGioVE! – Periferie Giovani Volontariato Europa” ha vinto nella categoria “Progetto informativo più inclusivo in Europa” e verrà premiato alla presenza anche di diversi e importanti rappresentanti del Parlamento Europeo e della Commissione Europea. Per chi interessato, la cerimonia sarà trasmessa in diretta streaming sulla pagina Facebook di Eurodesk: https://www.facebook.com/Eurodesk/

Il progetto “PerGioVE! – Periferie, Giovani, Volontariato, Europa”, finanziato dal programma AxTO della Città di Torino per la riqualificazione e la sicurezza delle periferie, ha perseguito l’obiettivo di creare innovazione e sviluppo sociale in un’area specifica di Torino, la Circoscrizione 5, al fine di contrastare attivamente problemi di emarginazione, povertà e disoccupazione giovanile. Il progetto è nato con l’intenzione di investire sulla “resilienza urbana” dei giovani, specie di quelli svantaggiati, potenziandone le capacità di creare autonomamente spazi in cui sviluppare relazioni e scambi sociali, con il coinvolgimento di associazioni, scuole e istituzioni del territorio. Puntando sulle capacità di ragazze e ragazzi e sulla coesione sociale, “PerGioVE!” è diventato uno spazio, non solo fisico, di incontri, attività e opportunità rivolto a chi abita la Circoscrizione 5 di Torino, un innesco per promuovere sul territorio uguaglianza, emancipazione sociale e autodeterminazione.

Gli Eurodesk Awards – la prima edizione è stata nel 2011 – nascono con l’intenzione di raccogliere i progetti più virtuosi e innovativi a livello locale e così metterli in evidenza come buone pratiche ed esempi da seguire sia per le istituzioni dell’Unione Europea sia per le altre organizzazioni giovanili a livello europeo. All’edizione del 2020 hanno partecipato 50 progetti da 15 paesi diversi per tre categorie differenti. I vincitori sono stati scelti da una giuria appositamente istituita.

Fit for Kids Europe: conferenza finale il 10 settembre

Giovedì 10 settembre, alle 11:00, su Zoom (collegarsi al link https://us02web.zoom.us/j/88194030020) si terrà la conferenza internazionale online in lingua inglese “Fit for Kids – Fit for helping children, families and increasing social responsibility” (Fit for Kids per aiutare i bambini, le famiglie e aumentare la responsabilità sociale).

La conferenza, in cui verranno presentati i risultati del progetto Erasmus+ “Fit for Kids Europe”, di cui Vol.To è partner, sarà anche l’occasione per ragionare insieme ai relatori e ai partecipanti sui possibili sviluppi dell’innovativo programma danese, che sta progressivamente estendendosi al resto d’Europa. Si parlerà infatti di come un’organizzazione no-profit possa trarre vantaggio dal promuovere Fit for Kids nel proprio territorio e di quale ruolo possano ricoprire enti pubblici e fondazioni nel sostenerlo. Infine, dato il ruolo cruciale che rivestono i volontari nel programma, la conferenza tratterà anche di come il volontariato possa essere promosso attraverso un progetto come “Fit for Kids Europe”.

I rappresentanti di tutte e quattro le organizzazioni partner (Fit for Kids per la Danimarca, L’Orma e Vol.To per l’Italia, Aventura Marão Clube per il Portogallo) si alterneranno nel corso della conferenza, che avrà la durata di circa un’ora e che prevedrà la possibilità di porre domande e richiedere approfondimenti al termine del dibattito.

“Fit for Kids” è nato con l’obiettivo di contrastare l’obesità infantile attraverso la pratica sportiva ludica non competitiva e attraverso consigli nutrizionali. Il progetto europeo che ne è scaturito ha visto la realizzazione di un manuale di linee guida per tutte quelle realtà che intendono approcciarsi a questo metodo, una piattaforma web con una nutrita documentazione scaricabile in più lingue, il trasferimento della metodologia danese in Italia (a Milano e a Torino) e in Portogallo (ad Amarante) con il conseguente lavoro di traduzione dalla lingua danese a quella inglese, italiana e portoghese, infine il reclutamento e la formazione di volontari in Italia e in Portogallo.

Il progetto si concluderà il prossimo 30 settembre, dopo oltre un anno e mezzo di lavori, prorogati a causa dell’emergenza Covid19.

La partecipazione alla conferenza finale è libera, gratuita e aperta a tutti senza necessità d’iscrizione. Dopo aver cliccato il collegamento menzionato sopra, sarà sufficiente aprire l’applicazione nel proprio browser, senza la necessità di scaricare la APP Zoom.

“Ripartiamo insieme”, due giorni di eventi a Moncalieri

Il Centro Servizi per il Volontariato partecipa a “Ripartiamo insieme”, la due giorni di incontri promossa dalla Città di Moncalieri in collaborazione con la Pro Loco Moncalieri per immaginare e costruire un nuovo futuro nell’ambito dell’evento “Moncalieri Comunità”.

Questo il calendario degli eventi in calendario che si svolgeranno nel pieno rispetto della normative vigenti in materia anti-covid:

  • Venerdì 11 settembre: Teatro Matteotti, via Matteotti 1 – Magia d’Argento a Teatro, apertura teatro ore 20, inizio spettacolo ore 21 (ingresso libero, fino a essaurimento posti)
  •  Sabato 12 settembre: presso il Centro Polifunzionale “Don Pier Giorgio Ferrero”  (Via Santa Maria 27 bis):
    • Ore 15,30 – La testa per pensare – Inaugurazione della Mostra-gioco su Gianni Rodari (nel cortile interno, laboratori per bambini dai 5 agli 11 anni, a cura del progetto Storie cucite a mano);
    • A seguire – Ripartiamo dalla comunità – Storie di persone e associazioni dopo il lockdown;
    • Ore 18 – Ripartiamo dai giorni, protagonisti di un futuro da scrivere:
      – Vi raccontiamo “5 anni di MoncalieriGiovane”;
      – “I beni confiscati. La Moncalieri che vogliamo” – A cura del Presidio Emanuele Riboli;
      – “Piazza Ragazzabile Moncalieri” – I ragazzi raccontano l’ecologia nella nostra Città;
      – “Auschwitz, un viaggio che cambia la vita”. Restituzione di “Promemoria_Auschwitz 2020”;
      – Premiazione dei vincitori del concorso “25 Aprile ieri e Oggi”


Ingresso libero su prenotazione
Info e prenotazioni: MoncalieriGiovane e Moncalieri Comunità 011 64 01 460

 

Pubblicati gli elenchi dei beneficiari del 5 per mille 2019

È possibile consultare sul sito dell’Agenzia delle Entrate l’elenco dei beneficiari del 5 per mille 2019, con indicazione del relativo contributo. 

Clicca qui per consultare

La pubblicazione degli elenchi arriva distanza di più di tre mesi dalla pubblicazione degli elenchi relativi al 2018. A sbloccare la situazione sia per quanto riguarda la pubblicazione che il pagamento è stato il Decreto Rilancio con la sua indicazione del 31 luglio come data entro cui rendere pubblici gli elenchi degli enti ammessi e di quelli esclusi dal beneficio.

L’elenco complessivo conta 66.493 enti, facendo registrare quindi una crescita importante rispetto ai 56.908 enti dell’anno 2018.