Skip to main content

C’è ma non si vede: il lavoro di cura delle donne

Quando si analizzano i dati riguardanti l’occupazione femminile, non si può non tenere in considerazione il lavoro non retribuito.

Il lavoro non retribuito, nella forma di lavoro domestico e assistenza alle persone, grava soprattutto sulle spalle delle donne e rappresenta il principale ostacolo alla loro partecipazione al mercato del lavoro: la quantità di tempo dedicato a tale occupazione è un limite reale alle possibilità di accesso sia al lavoro retribuito sia a opportunità formative, rendendo quindi le donne soggette a povertà ed esclusione.

In Italia tuttora la scelta è tra maternità o carriera, due scelte distinte e difficilmente conciliabili, specie in assenza di condizioni economiche agiate alle spalle.

Le donne sopperiscono infatti alla carenza di servizi pubblici che possano garantire sostegno alle famiglie e sacrificano il loro tempo e le loro energie per il benessere della collettività.

Questa forma di welfare fatto in casa fa risparmiare allo Stato 395 miliardi: perché il lavoro di cura delle donne non è riconosciuto, è considerato predisposizione naturale ed è quindi gratuito.

Agli uomini non è richiesto lo stesso impegno: nel mondo il 42% delle donne non può lavorare perché impegnato nella cura di familiari anziani, bambini, disabili; solo il 6% degli uomini si trova nella medesima situazione.

Per gli uomini avere una famiglia e diventare genitori non si ripercuote in maniera altrettanto evidente sulla loro posizione nel mercato del lavoro, né sul tempo che possono dedicare allo stesso, considerato che il ricorso al part time è molto più diffuso tra le madri rispetto ai padri, con conseguenti limitazioni sul loro reddito.

Seppure fondamentale per il benessere umano e per l’economia, l’assistenza e la cura alla persona rimanga invisibile, non riconosciuta, ma soprattutto caratterizzata da un forte divario di genere.

Secondo l’Istat nel 2014 (ultimo anno disponibile per questa tipologia di dati) donne e uomini hanno svolto oltre 71,3 miliardi di ore di lavoro non retribuito per attività domestiche, cura di bambini, adulti e anziani, volontariato e per gli spostamenti legati allo svolgimento di tali attività, contro le 41,7 miliardi di ore di lavoro retribuito.

Il 71% delle ore di lavoro non retribuito, è stato svolto da donne e in quasi la metà dei casi da casalinghe. Ciò, sebbene le donne istruite siano sensibilmente maggiori degli uomini.

Le italiane sono al primo posto nell’Unione Europea per quantità di tempo speso nel lavoro di cura, con una media di 5 ore. Dati che si scontrano con quelli che riguardano gli uomini: gli uomini occupati dedicano 1 ora e 47 minuti al lavoro domestico e di cura non retribuito. Una percentuale che li posiziona all’ultimo posto insieme ai greci nella classifica del lavoro non retribuito nella Ue.

Le principali conseguenze di tale situazione sono due. La prima è il rischio povertà e cattiva salute a cui vanno incontro le donne a causa del carico di lavoro e del forte stress a cui sono sottoposte.

La seconda conseguenza ha a che fare con la mancanza di tempo per la propria formazione. Un articolo del Guardian ha messo in luce come storicamente, a causa delle responsabilità legate al lavoro domestico, le donne abbiano meno occasione per sviluppare i propri talenti, coltivare le proprie passioni e formarsi per migliorarsi nella professione.

Infine, cosa succede se invece si guarda al lavoro retribuito? Le cose non vanno meglio. Senza considerare tutto l’universo del lavoro in nero, in Italia solo il 53% della popolazione femminile ha un’occupazione (dati Eurostat).

Va attuata insomma una decisa inversione di marcia in un quadro normativo preciso che rispetti e promuova esigenze, ambizioni e talenti delle donne.

Questo andrebbe a beneficio dell’intera popolazione, in quanto si è stimato che, se la partecipazione femminile al mercato del lavoro si allineasse entro il 2030 a quella maschile, il Pil pro-capite aumenterebbe di circa 1% annuo.

Proprio nell’ottica di promuovere e avvicinarci al cambiamento, economisti e attivisti hanno elaborato il “quadro trasformativo delle 4R”, volto alla creazione di una società più equa. Attraverso quattro punti principali, che dovrebbero funzionare da bussola di orientamento per le politiche del lavoro future, si propone di:

  • riconoscereil lavoro di cura non retribuito e scarsamente retribuito come una forma di lavoro o di produzione con un valore reale;
  • ridurreil numero totale di ore dedicate alle attività di cura non retribuite; ciò è possibile grazie a un migliore accesso a dispositivi e infrastrutture di assistenza e di qualità che consentano di risparmiare tempo;
  • ridistribuirepiù equamente il lavoro di cura non retribuito all’interno della famiglia e contemporaneamente trasferirne la responsabilità allo Stato e al settore privato;
  • rappresentarei lavoratori più emarginati di questo settore e garantire che abbiano voce in capitolo nella progettazione e nella fornitura di politiche, servizi e sistemi che influenzano la loro vita.

L’emergenza Covid, con il suo contraccolpo sui posti di lavoro e con lo smart working, ha ulteriormente aggravato la condizione delle donne e rende ancora più impellente un intervento concreto per creare un equilibrio di genere e una nuova concezione del lavoro di cura.

Lorenza Ibba, serviziocivilista di Vol.To