Il mondo sta cambiando. Basti pensare che il Premio Nobel per la Pace 2020 è andato al World Food Programme e che negli ultimi anni sono nati diversi movimenti dal basso di giovani (ma non solo) attenti a questioni come l’ambiente, i diritti delle minoranze, i disequilibri economici all’interno della società.
Oggi c’è una maggiore attenzione alla sostenibilità e all’impatto sociale, alla prossimità e alla valorizzazione del territorio, al rapporto tra acquirenti e produttori. In poche parole, c’è attenzione al concetto di kilometro zero, non solo per quanto riguarda la filiera alimentare ma a trecentosessanta gradi.
Cosa significa perciò essere un fornitore solidale? Significa seguire il principio della solidarietà alla base della filiera, ovvero valorizzare produttori locali e consumatori finali, nel rispetto dell’ambiente e delle persone. Alla base del concetto di fornitore solidale c’è il principio della condivisione, abbinato a un’attenzione nuova all’aspetto sociale e al tema dell’incontro tra realtà e organizzazioni anche molto diverse tra loro, unite in funzione di un bene comune, perché il territorio, in fondo, siamo tutti noi. In questo senso, una particolare attenzione va alla selezione dei fornitori, in quanto è considerato fondamentale il rapporto di fiducia tra produttori e consumatori. In secondo luogo viene considerata la qualità del lavoro e dei lavoratori. In terza battuta si prendono in considerazione efficacia e funzionamento.
Questo genere di servizi è fondamentale per fornire assistenza a famiglie in difficoltà, indigenti, in condizioni di povertà, fungendo tout court da moltiplicatore di solidarietà sostenibile, slow, qualitativa, attenta alla produzione e al controllo sulla qualità, per un sostegno al prossimo che sia sempre più etico.